04 ottobre 2016 18:02

Siamo nell’era delle immagini. Chiunque, armato di uno smartphone può riprodurre la realtà.

Ridefinire il ruolo della fotografia oggi, di fronte ai continui drammi di questo delicato momento storico, è più che mai importante, soprattutto di fronte al rischio concreto di “assuefazione”, come sottolinea Elena Boille, vice direttrice di Internazionale.

La “crisi dei migranti”, definizione spinosa ma di facile appeal, è un esempio di questa sovraesposizione di immagini che può generare quella “consuetudine al dolore” che a lungo andare rende indifferente il pubblico e impossibile trasmettergli un messaggio.

Nella suggestiva cornice di Palazzo Roverella, quattro grandi fotoreporter hanno raccontato, attraverso le loro immagini, che cosa significa fare questo mestiere e cosa ancora c’è da dire.

I lavori presentati sono diversi eppure complementari; ognuno di loro ha preso il tema, difficile da trattare per la sua attualità, e ne ha mostrato un lato inedito.

Giulio Piscitelli, fotografo che dal 2009 segue i migranti ed è profondo conoscitore del problema, ha realizzato un reportage, “From there to here”, che racconta la moderna epopea di esseri umani in cerca di speranza, attraverso una raccolta che è una vera narrazione. Ogni foto è una pagina di una storia più lunga, che non è emergenza del presente, piuttosto appare come frutto di errori del passato. Le sue immagini disegnano le rotte e i tratti di un’accoglienza poco ospitale, sottolineando in modo vivido che “la vera crisi non è quella della migrazione, ma delle risposte al fenomeno”.

Francesco Giusti, fotografo documentarista di lunga esperienza, propone due lavori che definisce “inediti” anche per se stesso. Nel primo, realizzato nel 2011 e dedicato alla migrazione di migliaia di lavoratori in fuga al confine Libia-Tunisia, il dramma è raccontato attraverso gli oggetti, come i pacchi, che richiamano il loro proprietario solo con una piccola fototessera incollata. Il secondo progetto invece è un’elegia sulla spiaggia di Lesbos, dove le onde hanno portato ciò che resta delle vite dei siriani. Sono immagini evocative, fortemente simboliche, la cui forza narrativa sta nel non detto, nella capacità di trasmettere emozioni solide attraverso consistenze quasi eteree.

Una visione completamente diversa è quella di Rocco Rorardelli, fotoreporter da sempre interessato ai temi ambientali, che usa il suo background biologico per guardare ai migranti con uno sguardo naturalistico: li riprende dall’alto, restituendo così al fenomeno il suo carattere “naturale” e storico e restituendoci non l’immagine del dolore, ma quella di esseri umani parte del mondo.

Il lavoro di Francesco Zizola, che ha documentato i maggiori conflitti mondiali, integra espressioni diverse; non solo l’immagine, forte, netta, ravvicinata del dramma, ma anche un sonoro. Le registrazioni della sala di controllo di Roma che riceve le richieste di soccorso in mare, non sono solo una cornice, ma diventano parte integrante dell’opera di coinvolgimento empatico del pubblico.

Alice Scuderi

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