10 gennaio 2017 17:47

Il ministro dell’interno italiano, Marco Minniti, il 9 gennaio è andato a Tripoli per gettare le basi di un’intesa con il governo di unità nazionale libico di Fayez al Serraj sulla gestione dell’immigrazione, il controllo delle frontiere e il contrasto al traffico di esseri umani.

Durante una conferenza stampa a Tripoli, Minniti ha dato qualche indicazione in più sul memorandum d’intesa, di cui non si conoscono i particolari. “Tenendo conto degli accordi già fatti tra Italia e Libia, uno nel 2008, l’altro più recente nel 2012, abbiamo comunemente deciso di raggiungere un accordo nei tempi più brevi possibili, che consenta a Italia e Libia di combattere insieme gli scafisti”.

Secondo Minniti, l’accordo con la Libia si muoverà in tre direzioni: la stabilizzazione del paese, il contrasto al traffico di esseri umani e la cooperazione contro il terrorismo. L’Italia ha promesso di aiutare la Libia a chiudere il confine meridionale del paese, quello con il Niger, da cui transitano la maggior parte dei migranti che entrano nel paese dall’Africa subsahariana.

All’incontro tra Minniti e Al Serraj hanno partecipato anche il ministro degli esteri libico, Mohammed al Taher Siyala, e il nuovo ambasciatore dell’Italia a Tripoli, Giuseppe Perrone, che il 10 gennaio ha presentato le credenziali per riaprire l’ambasciata, la prima sede diplomatica di un paese occidentale a riaprire i battenti nel paese dopo la guerra civile cominciata nel 2011 con la caduta di Muammar Gheddafi.

Gli accordi del passato
L’accordo tra l’esecutivo di Gentiloni e il governo di unità nazionale libico sui migranti dovrebbe ricalcare, come ha spiegato lo stesso Minniti, gli accordi che l’Italia ha stipulato in passato con l’ex colonia: quello del 2008 e quello del 2012. Il primo memorandum tra l’Italia e la Libia fu sottoscritto dall’allora ministro dell’interno Roberto Maroni con il governo di Muammar Gheddafi.

Il patto prevedeva che l’Italia versasse alla Libia cinque miliardi di dollari in aiuti, in cambio del pattugliamento costante della costa per impedire ai migranti di partire. L’accordo era stato criticato dalle organizzazioni per i diritti umani, che denunciavano la detenzione arbitraria dei migranti, maltrattamenti e torture da parte delle autorità libiche. Nel 2012 Roma ha rinnovato l’accordo con Tripoli, sottoscritto dall’allora ministra Anna Maria Cancellieri, che prevedeva il controllo delle frontiere meridionali della Libia e l’addestramento delle forze di polizia di frontiera locali.

Il progetto attuale si colloca nel solco di quelli precedenti, con molti dubbi. Il punto centrale dell’accordo attuale con i libici è il sostegno italiano alle autorità locali per pattugliare e chiudere il confine meridionale del paese, quello che lo separa dal Niger, principale punto di accesso in Libia per i migranti provenienti dall’Africa subsahariana.

Per sostenere questo progetto l’Italia potrebbe fornire a Tripoli un sistema di radar, già previsto nell’accordo del 2012. Tuttavia l’attuazione del piano presenta diverse difficoltà, perché il governo di Al Serraj non è in grado di garantire un controllo del territorio così esteso e capillare al di fuori della capitale.

Intanto si è conclusa la prima fase dell’Operazione Sophia, la missione di EunavforMed contro il traffico di esseri umani che prevedeva l’addestramento di 78 ufficiali e sottufficiali della guardia costiera libica a bordo della nave della marina militare italiana Garibaldi.

Gli obiettivi principali del governo italiano nel prossimo futuro sembrano essere due: un impegno militare da parte delle forze armate europee nelle acque internazionali davanti alla Libia e un loro futuro sconfinamento nelle acque libiche (che per il momento è escluso da Al Serraj) e il coinvolgimento delle forze di polizia libiche nel pattugliamento della costa.

In cambio, Roma garantirebbe investimenti e aiuti anche attraverso la donazione di mezzi come i pattugliatori, che dovrebbero essere consegnati già nelle prossime settimane.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it