10 marzo 2017 16:06

Pochi veicoli sfrecciano davanti ai negozi abbandonati che si susseguono nella strada principale di Namie, una città costiera giapponese a quattro chilometri da Fukushima, ora quasi deserta dopo il disastro del 2011.

Un gruppo di operai ripara una casa danneggiata, nel municipio della città, rimasto intatto, circa sessanta dipendenti comunali si preparano ad accogliere il ritorno dei residenti. Non molto lontano, due cinghiali si sono intrufolati nel giardino di qualcuno, in cerca di cibo.

I primi segni di vita stanno tornando a Namie circa sei anni dopo il disastro dell’11 marzo 2011, quando un terremoto e uno tsunami hanno colpito le località adiacenti e lo stabilimento nucleare vicino alla città.

In origine i residenti di Namie erano 21.500, ma solo poche centinaia progettano di tornare nelle loro case. A partire da novembre è stato permesso ad alcune persone di passare la notte in città. Ma quando sarà revocato l’ordine di evacuazione – che comprende alcune aree della città di Namie e altri tre centri abitati adiacenti – i residenti non avranno bisogno di permessi per restare. È probabile che il provvedimento diverrà ufficiale alla fine di marzo.

Ad appena quattro chilometri di distanza dallo stabilimento nucleare, Namie è stata la prima città a essere bonificata per il ritorno dei residenti. Ma la vita in città non sarà più la stessa: le radiazioni hanno contaminato molte aree che non saranno mai più abitabili. Inoltre più del 50 per cento degli abitanti ha deciso di non tornare. Le loro preoccupazioni riguardano le radiazioni e la messa in sicurezza dell’impianto nucleare. La maggior parte di chi ha già deciso di non tornare ha meno di 29 anni, di conseguenza la popolazione futura sarà costituita da anziani e la città sarà senza bambini.

“I giovani non torneranno”, dice Yasuo Fukita, un ex abitante di Namie che ora gestisce un ristorante a Tokyo. “Non ci sarà lavoro e neanche istruzione per i ragazzi”. Fujita è tra i tanti che non vogliono vivere in un territorio contaminato. Il livello di radiazioni a Namie è di 0,07 microsievert (un milionesimo di sievert) per ora, simile al resto del Giappone. Ma nella vicina città di Tomioka, un dosimetro segna 1,48 microsieverts per ora, trenta volte quella segnalata nel centro di Tokyo. Perché l’annullamento del piano di evacuazione sia ufficiale, il livello deve essere inferiore a 20 millisievert (un millesimo di sievert) per anno.

Nuovi e vecchi mestieri
Namie contava sei scuole elementari e tre scuole medie, ora progetta di aprire una sola scuola che comprenda i tre livelli d’istruzione. Così i ragazzi non avranno bisogno di spostarsi in altre città per frequentare le lezioni. Un ospedale aprirà questo mese, il personale sarà costituito da dottori che lavoreranno a tempo pieno e part time. Gli sforzi per la ricostruzione della città potrebbero creare molti posti di lavoro.

Yuji Kimura, l’unico dottore che lavora a tempo pieno nell’unica clinica rimasta a Namie, il 28 febbraio 2017. (Toru Hanai, Reuters/Contrasto)

Il sindaco di Namie Tamotsu Baba è fiducioso, spera di riuscire a riattivare l’industria e l’economia attirando imprese di ricerca e robotica. Le prospettive per la rinascita del business non si realizzeranno a breve, ma il presidente della compagnia di legnami Munehiro Asada ha riaperto la sua fabbrica per favorire la ripresa economica della città. “Ora le vendite non raggiungono nemmeno il decimo di una volta, ma aprire la fabbrica era la mia priorità. Se nessuno tornerà, la città sparirà”, afferma Asada.

Shoichiro Sakamoto fa un lavoro insolito: caccia i cinghiali che invadono le aree urbane vicino a Namie e Tomioka. La sua squadra composta da 13 persone, cattura gli animali per poi sopprimerli. “I cinghiali in queste zone non temono l’uomo, è come se la nostra città fosse sotto il loro controllo”, dice Sakamoto.

Alcuni sostengono che l’ordine di evacuazione debba durare fino a quando la città non sarà sicura, i livelli di radiazioni bassi e i lavori di smantellamento della fabbrica terminati.

Per il sindaco Baba è ora o mai più. “ Sono trascorsi sei lunghi anni, se l’ordine di evacuazione continuerà, il cuore delle persone si spezzerà e la città potrebbe scomparire per sempre”.

(Traduzione di Martina Ciai)

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