29 gennaio 2017 12:33

Il piacere di sfogliare un buon libro, il profumo della carta, il tòc della puntina che si appoggia sui solchi di un vecchio vinile, il sole sul viso, il vento tra i capelli e l’erba fresca sotto i piedi nudi… se siete a caccia di luoghi comuni consolatori come questi, The revenge of analog di David Sax, un recente saggio sul ritorno al supporto fisico in ogni sua forma, in parte vi deluderà.

Eppure le buone notizie per i fan dell’analogico (ovvero della carta, del vinile, della pellicola e dei vecchi giochi da tavolo) non mancano: Sax, capitolo dopo capitolo, analizza il successo di piccole aziende, che col tempo diventano sempre meno piccole, che hanno creduto, in piena smaterializzazione dei consumi, nel supporto fisico, nel vendere oggetti “veri”, da toccare, da usare e soprattutto da possedere.

Lo stile è quello dell’inchiesta economica: Sax visita le aziende, descrive la loro visione imprenditoriale, ricostruisce la loro storia, spesso molto recente, e cerca di dare un’idea del loro giro d’affari. Si va dalla United record pressing , storico stampatore di dischi in vinile di Nashville alla Moleskine, l’azienda italiana, e quotata in borsa, che ha trasformato il taccuino in uno status symbol. Sempre in Italia Sax visita la FILM Ferrania che, dopo aver cominciato con una campagna su Kickstarter, si prepara a rilanciare le sue storiche pellicole e si avventura nel mondo, sempre più variegato, dei produttori di giochi da tavolo, analizzando fenomeni di culto come I Coloni di Catan e Cards against humanity.

L’inchiesta sulle aziende che tornano a produrre “cose” che il digitale sembrava aver soppiantato è però solo l’ossatura del libro. David Sax non si limita a registrare il fenomeno ma cerca di spiegarselo. E di spiegarlo a noi.

Parte dall’insoddisfazione, dal senso di vuoto che ci lascia l’abbondanza senza fondo che i nostri apparecchi digitali continuano a rovesciarci addosso. Gli smartphone ci danno accesso a tutta la musica del mondo, alla partita in diretta, a più libri di qualunque biblioteca. E poi il telefonino che teniamo in tasca è macchina fotografica, cinepresa ed emittente tv per mandare in diretta quello che vogliamo quando vogliamo.

Cosa ci facciamo con tutte queste possibilità? Il più delle volte ci trasciniamo stancamente da una finestra all’altra. Consumiamo sempre più voracemente frammenti di informazioni: una riga di un libro, qualche minuto di un video che lasciamo a metà, una scorsa alla timeline di Instagram, un’occhiata a Tinder per vedere chi c’è e poi è già ora di cena. E tocca ordinare la pizza su Deliveroo.

Sax non sbaglia quando dice che un libro di carta ci responsabilizza: ci invita a sederci, a prendere il nostro tempo e ad arrivare in fondo. Se non altro, posato lì sul tavolo, ci ricorda che possiamo provarci. Un disco che gira sul piatto richiede più attenzione di una playlist su Spotify o di una radio di Pandora: devi farlo scivolare fuori dalla sua custodia, spolverarlo e metterlo su… puoi leggere anche le note di copertina: vedere chi ci ha lavorato e se hai tempo puoi anche divertirti a leggere le scritte microscopiche in cui gli artisti arrivano a ringraziare parrucchieri, autisti e ragazzi del bar.

E non parliamo dei giochi da tavolo: ti costringeranno a vedere gente (orrore!) e magari a telefonare (!!!) agli amici per invitarli. Il gioco da tavolo, nota acutamente Sax, costringe a un’interazione e a un’empatia che oggi sono sempre più rare e, anzi, ci sembrano un lusso. Nelle nostre bolle digitali tutto ci sembra molto vicino ma anche molto lontano. È facile insultare a morte qualcuno in un thread di Facebook: prova fare lo stesso davanti a un tabellone del Monopoli. E poi un buon gioco da tavolo ci costringe a essere diplomatici, a seguire delle regole, a cercare delle strategie. Tutte cose che nei nostri social network dall’aria sempre più irrespirabile sembrano ormai impossibili. Anzi, sui social tutto è permesso nel nome del diktat profondamente falso dell’“essere se stessi”. Un buon gioco da tavolo ti offre la possibilità di una vera vacanza da te stesso ed è un luogo in cui “essere te stesso” potrebbe addirittura essere controproducente.

Sax però non ci invita a una lettura nostalgica o, peggio, moralista di questi fenomeni. Ci tiene a sottolineare che dal digitale non si torna indietro. Immaginarsi una battaglia tra “vero” (foglio di carta, libro, disco) e “finto” (file mp3, ebook, algoritmo di Spotify) sarebbe fuorviante e profondamente stupido. I mondi creati dal digitale, le informazioni che consumiamo e soprattutto i dati che noi stessi produciamo e immettiamo nel sistema, sono tutt’altro che cose finte o immateriali. Sono cose vere esattamente come i nostri bei libri, i nostri vinili della Stax e la lana rosa con cui sferruzziamo i nostri pussy hat.

The revenge of analog è un bel libro perché non ci offre letture consolatorie o moralistiche ma ci invita ad abbracciare la diversità dei tempi in cui viviamo. Tempi in cui abbiamo capito che tante belle promesse del digitale non saranno mantenute (no, internet non salverà il mondo) e che adottare una nuova tecnologia non significa necessariamente fare reset e ripartire da zero. Si è tanto parlato del fossato che separerebbe i nativi digitali dalle generazioni precedenti, a volte è stata anche immaginata una specie di guerra ideologica e generazionale. Revenge of analog ci aiuta a capire che siamo ancora, e per fortuna, tutti creature ibride con la testa nella nuvola ma i piedi ancora ben piantati nella terra.

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