24 novembre 2016 18:11

“Perché vuoi entrare nella Cia?”. “A me sembra molto fico avere accesso ai sistemi di sicurezza”, è la risposta di Edward Snowden (Joseph Gordon-Levitt) alla domanda posta da quello che sarà il suo capo Corbin O’Brian (Rhys Ifans). Un momento prima, alla stessa domanda, Snowden aveva risposto con un più classico e retorico: “Perché voglio aiutare il mio paese a migliorare il mondo”. La successiva sincerità gli procurerà l’ingaggio, perché la Cia, sempre stando a quanto afferma O’Brian, ha bisogno di cervelli straordinari come quello di Snowden.

Aver comunque assunto chi ha dato una risposta sincera ma così semplice, quasi adolescenziale, si rivelerà però un errore fatale per l’intera macchina dell’intelligence. Snowden, agente operativo della Cia e informatico di alto rango per l’Nsa, a vederlo è un ragazzo come tanti. Ma forse è fatto di opposti. Delicato e gentile, intelligente e geniale ma al tempo stesso un po’ banale e un po’ ovvio, aperto ma dalle idee conservatrici, innamorato di una ragazza intelligente e progressista apprende la verità suo malgrado. Ma in seguito, e proprio suo malgrado, diventerà un altro uomo, un grande uomo nella semplicità e umiltà assoluta.

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Cosa ha portato all’incontro tra Oliver Stone e Edward Snowden? A quanto pare il produttore storico di Stone, Moritz Borman, è stato contattato da Anatoli Kucherena, legale russo di Snowden. Dopo infinite difficoltà nel trovare finanziamenti, e dopo infiniti rinvii dell’uscita negli Stati Uniti, il film, tratto dai libri Snowden (Newton Compton) del britannico Luke Harding, giornalista del Guardian, e Time of the octopus dello stesso Kucherena (oltre ai dialoghi tra Snowden e Stone), è ora anche nelle sale italiane, patrocinato da Amnesty international.

Non sappiamo quanto Stone abbia romanzato la vicenda, ma per esempio il personaggio di O’Brien è probabilmente il frutto di una sintesi di più persone, cosa che al cinema accade spesso, ancora più spesso nei film di Stone, quando la storia è molto complessa. E questa è una vicenda complessa. Una sintesi pubblicata da Le Monde riassume le polemiche scatenate da un rapporto pubblicato dal congresso statunitense, la dura presa di posizione del Washington Post, che di Snowden chiese l’incarcerazione, l’inchiesta del Guardian che quasi ridicolizza il Washington Post e rende poco credibile il dossier del congresso. In un altro articolo, invece, Libération, spiega bene la posta in gioco per Snowden e la strana coincidenza di alcune date, tra cui l’uscita nelle sale statunitensi del film.

La New Hollywood è lontana
Snowden di Oliver Stone è un film politico, non nel senso più nobile del termine. “Matrix è ovunque. È intorno a noi. Anche adesso, nella stanza in cui siamo. È quello che vedi quando ti affacci alla finestra, o quando accendi il televisore. L’avverti quando vai al lavoro, quando vai in chiesa, quando paghi le tasse. È il mondo che ti è stato messo davanti agli occhi per nasconderti la verità”, diceva Morpheus all’hacker Neo in Matrix (1998). Evidentemente non siamo nel cinema post-assassinio di Kennedy (la lista di film sull’argomento è infinita) e nemmeno in quello post-Watergate di Sydney Pollack (I tre giorni del condor, 1975), o di Alan J. Pakula (Tutti gli uomini del presidente, 1976) né tantomeno in quello più raffinato di La conversazione (1974, Palma d’oro al festival di Cannes) di Francis Ford Coppola, capolavoro-paradigma della paranoia nixoniana, perfetto esempio del cinema combattivo quanto sperimentatore della New Hollywood dei Bogdanovich, dei Coppola, dei De Palma, Demme, Penn, Scorsese, eccetera, nata dalle ceneri dello studio system e di cui Oliver Stone, allievo di Martin Scorsese, è chiaramente figlio.

L’epoca della New Hollywood è lontana, e lo sembra anche di più nell’attuale contesto di regressione di gran parte della produzione a un conformismo politico e visivo dettato dal dominio del marketing e del politicamente corretto. E da un certo punto di vista non siamo neanche nel cinema di Oliver Stone, anche se per altri versi ci siamo in pieno e all’ennesima potenza. Ma anche se non così adulto e a volte elementare, alcuni esempi di quel cinema che si è affermato nel corso degli anni ottanta succedendo alla New Hollywood hanno forse lasciato il segno nella coscienza dei giovani spettatori contribuendo inaspettatamente ad ampliarne l’orizzonte.

I giovani cervelloni dell’Nsa, brillanti e simpatici, ricordano un po’ l’hacker in erba di Wargames

Il nuovo lungometraggio di Oliver Stone, che consigliamo di vedere in lingua originale, si ricollega proprio a quel cinema d’intrattenimento che ha appassionato il pubblico adolescente e non solo negli ultimi quarant’anni, senza però quella gradevole e rassicurante patina di fanciullesca ingenuità. E a pensarci si tratta di un percorso speculare a quello di Edward Snowden. Ecco qualche esempio, cercando di evitare, quanto possibile, gli spoiler.

I giovani cervelloni dell’Nsa, un gruppo di ragazzi brillanti e simpatici, ricordano un po’ l’hacker in erba di Wargames. Giochi di guerra, film del 1983 di John Badham con Matthew Broderick, uscito in piena recrudescenza della guerra fredda, quando Reagan lanciava la triste utopia di uno scudo stellare. Là però il contesto è più simpatico e si vede almeno un generale buono o al limite ragionevole. In Snowden non ce n’è nemmeno l’ombra. Quella dell’adolescente è una tipologia rappresentata in modo non così lontano in tutti e due i film. La stessa stanza delle intercettazioni dell’Nsa si potrebbe confondere con la war room del Norad, tenendo conto dei decenni trascorsi. Ma lì la guerra alla fine era un gioco. Qui la guerra informatica è un vero mostro che si autoalimenta.

Si pensa anche a Spy game (2001) di Tony Scott. In quel caso lo Snowden di turno, interpretato da Brad Pitt, è sinceramente convinto che le azioni clandestine della Cia possano aiutare l’America e il mondo a diventare migliori. È quindi il racconto di un idealista che perde le sue illusioni, di un “idealista disilluso”, per citare la definizione che John Kennedy dava di sé. Però in Spy game quando il capo di Pitt (interpretato da Robert Redford) si trova a scegliere, sceglie l’amicizia malgrado tutto. In Snowden non accade. Sembra esserci qualcosa che lega sotterraneamente Snowden a O’Brien. Ma le scene in cui Snowden ascolta il suo capo che sovrasta la sua figura minuta, e il primo piano di O’Brian che sembra sapere tutto di certe conversazioni del suo agente, sono affascinanti quanto spaventose. Fanno pensare a un grande fratello all’ennesima potenza.

Una realtà “poco credibile”
Queste scene rimandano tanto a Matrix quanto a The Truman show (1998) di Peter Weir in cui il mondo diventa un reality show. Questi due film, insieme a Wargames, portano alla domanda su come e dove distinguere la realtà dal virtuale più che dalla finzione, la verità dalla simulazione, computer e uomini, confondendosi. Nel recente Kingsman. Secret service (2014), con Colin Firth, Samuel L. Jackson e Michael Caine, per la regia di Matthew Vaughan, una strana agenzia a metà strada tra massoneria (a cui gli anelli rimandano molto) e servizio segreto parallelo (aristocratico), lacerata tra progressisti e conservatori, è “sistemata” da un ragazzino proveniente dai quartieri poveri. A questo punto tutto si confonde non solo con l’antesignano del genere, cioè James Bond, e già basterebbe, ma perfino con i suoi grandi nemici della Spectre. La quale nella realtà del film di Stone viene fregata da un ragazzino. Se questa storia raccontata da Stone non fosse reale, ci crederemmo? O penseremmo che sia il frutto di una fantasia adolescenziale-virtuale? Sia chiaro: sono forse tutte invenzioni di regia di Stone, ma quello che visualizza è la sostanza di qualcosa di reale.

Siamo allora nella realtà, e quanto rivelato è spaventevole: i servizi segreti statunitensi, prima che Snowden rivelasse tutto, auscultano ogni cittadino del mondo fin nelle sue chat. Rivela Snowden: “Il terrorismo è solo una scusa. Quello che conta è il controllo economico e sociale. La supremazia del tuo governo”. Potenzialmente è tutto pronto per una dittatura orwelliana globalizzata. Magari, la domanda può venire legittima, con la spinta crescente della marea di poveri e profughi, è possibile che arrivino al potere con voto democratico governi autoritari. Non vogliamo spaventare troppo: le cose sono sempre più imprevedibili di quanto si creda, come dimostra proprio la vicenda qui raccontata. Ma è un pericolo potenziale. È evidente che nel mondo di oggi, in cui è forse legittimo temere che un voto democratico porti al potere un governo autoritario, altre tematiche trattate dal regista come il tentativo di individuare i reali mandanti dell’omicidio di Kennedy, sembrano poca cosa. Non perché meno gravi, ma perché quanto rivelato in Snowden rivaleggia con la fantasia. Non sembra realistico eppure è la verità.

A che punto azioni compiute in nome della sicurezza nazionale diventano una minaccia per la democrazia?

Intanto, le rivelazioni del dissidente Snowden hanno svegliato il congresso su un sistema d’intercettazioni degno dei migliori incubi fantapolitici del cinema (per citare un vecchio film, si veda Sette giorni a maggio di John Frankenheimer, 1964), che lo stesso congresso ignorava e che ora ha reso illegale. Snowden e i suoi ex colleghi si rendono conto benissimo della differenza tra meccanismi davvero dediti alla sicurezza nazionale e quello che invece è autoreferenziale e dedito al suo mantenimento e, stando al film, agli scopi di pochi. Snowden di Oliver Stone pone questioni fondamentali. A che livello disubbidire a ordini “sporchi” diviene punto d’onore? A che punto azioni compiute in nome della sicurezza nazionale danneggiano i diritti civili e diventano una minaccia per la democrazia?

Il film rovescia l’assioma di un mondo fondato sulla paura. E la sequenza con il colloquio pubblico via internet con Snowden, rovescia anche l’assioma tecnologia nemica dell’uomo. Tutto dipende dagli indirizzi politici ed economici. Ma Snowden è anche il ritratto di un uomo, del suo percorso verso la consapevolezza. Quella di Edward Snowden è la dolorosissima via crucis che porta alla perdita totale d’innocenza, la trasformazione di un adolescente in uomo adulto che però, messo a dura prova, mantiene tutti gli ideali, la purezza e la freschezza dell’adolescente.

Non dimentichiamo neanche che quella di Snowden è una vicenda aperta. Mentre scorrono i titoli di coda durante i quali si sentono fuori campo le voci di Hillary Clinton – “Quando rientra dovrà prendersi le responsabilità delle sue azioni” – e di Bernie Sanders – “Quanto fatto da Snowden rappresenta da tempo la più coraggiosa azione a tutela delle libertà civili”– non si pensa che il film di Stone sia espressione di un cinema sottile dentro a un’apparenza fisica. Non si pensa che sia un film visionario su una realtà ormai divenuta paradossale, né un film all’apparenza didattico, che fa gentilmente il verso al cinema complottista più leggero. O meglio, pensiamo tutto questo. Ma prima di tutto pensiamo: Snowden di Oliver Stone è un film civico.

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