27 gennaio 2016 16:20

Il 27 gennaio la ministra della giustizia francese Christiane Taubira si è dimessa. Lo ha annunciato in mattinata la presidenza della repubblica con uno scarno comunicato. Mentre l’ormai ex guardasigilli ha commentato laconica la sua rinuncia su Twitter: “A volte resistere vuol dire rimanere, a volte resistere vuol dire lasciare. Per fedeltà a sé, a noi. Perché l’etica e il diritto abbiano l’ultima parola”.

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Al suo posto il presidente François Hollande ha nominato il deputato socialista Jean-Jacques Urvoas, attuale presidente della commissione legislativa della camera e specialista in questioni di sicurezza.

Le dimissioni di Taubira arrivano in un momento delicato per il governo guidato dal socialista Manuel Valls, alle prese con una serie di scioperi – ieri è toccato agli insegnanti, oggi ai tassisti – e con il crescente malumore dell’ala sinistra del partito, di cui Taubira è un’esponente di punta.

A Valls e Hollande vengono rimproverate in particolare la svolta in materia di sicurezza impressa un anno fa dopo gli attacchi contro Charlie Hebdo e il supermercato kosher e che si è rafforzata dopo gli attentati di Parigi del 13 novembre. Tra le misure emblematiche di questa svolta, l’applicazione dello stato di emergenza – tuttora in corso e che verrà molto probabilmente rinnovato per altri due mesi il 3 febbraio – e l’inserimento nella costituzione della revoca della nazionalità per chi ha la doppia cittadinanza ed è stato condannato per terrorismo.

Proprio su quest’ultima misura è avvenuto lo scontro che ha portato alle dimissioni di Taubira. La sua posizione era diventata molto delicata sin da quando, all’indomani degli attentati di novembre, la guardasigilli si era opposta pubblicamente alla revoca della nazionalità, evocata da Hollande davanti alle camere riunite. Proprio oggi Valls deve difendere davanti alla commissione presieduta da Urvoas il disegno di riforma costituzionale che introduce la revoca.

Con la rinuncia di Taubira il governo porta a compimento l’adozione di una linea più moderata

Seppure simbolica, questa vicenda è l’ultima di una lunga serie di tensioni tra Taubira e il binomio che guida il paese. Le sue posizioni sono state infatti sistematicamente ignorate durante l’elaborazione di alcune misure chiave come la riforma penale del 2014, la legge sull’intelligence o la riforma della giustizia minorile. Taubira era anche regolarmente criticata dai suoi collaboratori a causa della gestione non sempre coerente del ministero – ha cambiato tre capi di gabinetto in quattro anni – al punto che Le Monde l’ha definita “esigente e pasticciona”.

Accusata dall’opposizione di destra di impersonare il “lassismo” del governo proprio a causa delle sue posizioni garantiste e detestata dalle frange più conservatrici della politica e della società per aver promosso e difeso la legge che estende il matrimonio alle coppie omosessuali, Taubira era invece diventata un’icona della sinistra anche perché, donna e antillese, rappresentava la diversité cara alla gauche.

Con la rinuncia di Taubira si chiude quindi il “chiarimento” cominciato nel 2014: l’adozione di una linea politica più moderata, che ha coinciso con l’uscita dei Verdi dalla maggioranza e il mancato rinnovo dei ministri Arnaud Montebourg (economia), Benoît Hamon (consumatori) e Aurélie Filippetti (cultura), e che vede rafforzate le posizioni di Valls, del ministro dell’interno Bernard Cazeneuve e di quello dell’economia Emmanuel Macron.

Una svolta che punta a tagliare l’erba sotto i piedi alla destra in vista delle presidenziali e delle legislative dell’anno prossimo, privandola dell’esclusiva sui temi economici e della sicurezza, perché cerca di sedurre gli elettori moderati dando per scontato il voto di quelli di sinistra. La tendenza degli ultimi anni sembra però indicare che è una scommessa azzardata, poiché un numero crescente di elettori di sinistra si riversa sul Front national, il partito di estrema destra di Marine Le Pen.

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