26 ottobre 2015 17:20

Cos’è. Nella società di The lobster la solitudine non è ammessa: le persone che non sono accoppiate vengono mandate in un hotel dove hanno qualche settimana per innamorarsi e tornare nel mondo, oppure allo scadere del periodo vengono trasformate in un animale a loro scelta. Il protagonista David, interpretato da Colin Farrell, finisce nell’hotel dopo essere stato lasciato dalla moglie, e sceglie l’aragosta perché è fertile, è longeva e sguazza nel mare, che anche a lui piace tanto. Tra gli ospiti dell’hotel ci sono Ashley Jensen (Extras), John C. Reilly e l’attrice sempre presente nei film di Lanthimos, Angeliki Papoulia. Più avanti David incontrerà un’altra società dove ci sono Léa Seydoux (La vita di Adèle) e Rachel Weisz, che migliora ogni anno che passa. Come ogni film di Lanthimos, anche questo è scritto insieme a Efthymis Filippou e fotografato da Thimios Bakatakis.

The lobster

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Com’è. The lobster è un film di fantascienza dello spazio interno, che quindi non si basa sulla navigazione intergalattica per mostrare l’umanità sotto una nuova luce, ma su nuove prospettive che riguardano le persone. Per non rovinare la visione del film dovrò omettere diversi particolari significativi della trama. Quello che posso dire è che è diviso in due atti e descrive due fasi delle vita di un uomo, che affronta la solitudine come vuole la società in cui vive, e l’amore come desidera lui. Nel farlo sperimenta due forme di costrizione diverse ma ugualmente drammatiche.
Gli attori recitano in un contesto che non è realistico, e lo fanno con precisione e una certa fissità, ma sempre senza risultare fastidiosamente teatrali. The lobster non è un film surreale, anche se spesso cita Luis Buñuel nelle atmosfere e nelle inquadrature (strane cerimonie danzanti, gente elegante che cammina in campagna). Se non fosse un film occidentale, sarebbe un drammone coreano. È un film insolito, concepito come una tragedia in un contesto distopico e alterato, ma quello che mostra, data la premessa assurda, è verosimile. Questo equilibrio tra verosimiglianza e assurdità è il cuore del cinema di Lanthimos: il suo modo di raccontare le storie e sondare le emozioni nei suoi personaggi passa attraverso l’alterazione dei rapporti abituali tra le persone e quello che ne consegue.

Perché vederlo. Lanthimos ha un gusto raro per l’inquadratura. Esistono molti registi che amano il bello, il composto e il lavorato, e quindi producono inquadrature visibilmente preziose. Questo è a un altro livello: si percepisce un istinto per l’inquadratura che è veramente quello dei maestri. Usa pochi carrelli, pochi effetti, tutto è giusto e facile, mai sovraccarico, sempre affilato come una lama, e dà una scansione fluida anche alle storie più contorte. Nel suo modo di costruire i personaggi e riprendere gli attori c’è una sensibilità già molto riconoscibile. In particolare, questo film si muove in quell’area che confina da una parte con l’orrore e dall’altra con il ridicolo, ma senza mai cavalcarli. La prima reazione che di solito si verifica in sala è che gli spettatori ridono per l’assurdità imbarazzante di alcune situazioni, ma lo fanno senza smettere di credere nel film. La seconda ogni tanto li spinge a mettersi le mani davanti agli occhi, ma senza la sensazione di essere esposti alla violenza come tortura, come sfida della sopportazione. Insomma la storia è originale ed emozionante, gli attori sono bravi, la colonna sonora è puntuale, la sceneggiatura gira, la fotografia riesce in quell’impresa rara di non rendere piatto nemmeno un bosco qualsiasi. Il film parla d’amore e ne parla veramente, anche se in un modo molto insolito.

Perché non vederlo. È un film d’autore che racconta una storia fantastica e drammatica, lirica e fantasiosa, con i suoi tempi e nei suoi modi. Inoltre è un film a tratti molto violento e spietato nei confronti di uomini e animali. Questo non ne fa un film per tutti.

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