18 novembre 2015 13:25

Cos’è. Spectre è il quarto e forse ultimo film di 007 con Daniel Craig nel ruolo di James Bond. Diretto e scritto dagli stessi Sam Mendez e John Logan del precedente Skyfall, e prodotto come ogni altro 007 da Eon, il film racconta la resa dei conti tra Bond e la Spectre, organizzazione massonica globale volta alla sopraffazione delle masse per il profitto e il potere dei propri adepti. Dietro al progetto intergovernativo di intelligence che unisce i servizi segreti di nove grandi paesi in un’unica rete non c’è la lotta al terrorismo come si vuole far credere, ma l’infiltrazione della Spectre che così diventerebbe inarrestabile. Il progetto 007, ormai in smantellamento, si trasforma nell’unica cellula capace di fermare questo nuovo ordine mondiale basato sul monopolio delle informazioni. Il capo della Spectre è Christoph Waltz, M è Ralph Fiennes, le donne con cui Bond si ama sono Monica Bellucci e Léa Seydoux, Q è quel Ben Whishaw appena visto in The lobster, mentre il ruolo del cattivo in seconda spetta a Andrew Scott. La fotografia è di Hoyte Van Hoytema (Interstellar) e le musiche sono di Thomas Newman.

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Com’è. I film di Bond costituiscono la serie più longeva del cinema occidentale, e chi va a vederli lo fa con un misto di voglia di familiarità e di innovazione. Ogni Bond movie vive di questo equilibrio, e anche Spectre cerca di mantenere un impianto classico, attualizzandosi con il tema del controllo dell’informazione inteso come strumento potenzialmente pericoloso se concentrato in mani non democratiche. Le scene d’azione – ogni 007 è un incrocio tra spionaggio e azione – risultano spettacolari in modo classico, senza quella natura funambolica alla Mission: Impossible. Le relazioni amorose sono giustamente rétro, fatte di frasi storiche e donne che alternano la passione più bruciante a una certa tendenza alla ritrosia da prede altezzose: ottima Léa Seydoux nella modalità svogliata francese. Le ambientazioni esotiche comprendono la folla di una metropoli latina come Città del Messico, Roma, una montagna innevata austriaca e il Maghreb: classici che vengono rivisitati con una certa classe. Interessante la fotografia di alcuni interni, con poca luce, tanta grana e una certa impostazione realistica che ricorda l’ottimo scontro finale nella casa isolata di Skyfall.

Perché vederlo. Daniel Craig ha quel fisico proletario che lo rende un po’ meno stiloso di altri James Bond, ma è anche molto più sostanzioso e moderno di alcune pessime scelte da country club fatte in passato: questo è probabilmente il suo ultimo film in doppio zero, e merita di essere visto se si è fan della serie, se non altro per completezza. L’inseguimento a Roma con finale sul Tevere ha il suo perché. L’uso chirurgico di qualsiasi arma da fuoco in alcune sparatorie risulta ovviamente un po’ antiquato, come gli attori alla guida nei classici anni cinquanta che agitano il volante senza effetti sul fondale, ma anche così piacevole e classico. Léa Seydoux è la massima rappresentante al mondo della categoria bellissima che quasi non sembra (anche se nell’edizione italiana la fanno parlare in un francese pessimo che lascia un po’ interdetti). Come accennato prima, la fotografia del film a tratti è molto interessante, soprattutto nelle luci basse.

Perché non vederlo. Tra V for Vendetta e la storia di Edward Snowden, questo James Bond nemico del controllo globale fatica a trovare una vera opposizione, un nemico che si possa davvero considerare tale. Il ruolo interpretato da Christoph Waltz, quello del piccolo sadico senza cuore, è già visto e poco interessante e in più non fa paura. Anche se le premesse sono buone, il film si sfarina nella seconda parte, perde autorevolezza e leggerezza, diventa esile e allo stesso tempo un po’ grossolano. Sfugge anche il senso di alcune dinamiche del gran finale. Per finire dall’inizio, i titoli di testa, che in Casino Royale e in Skyfall meritavano da soli il prezzo del biglietto, questa volta sono una tamarrata spiacevole gonfia di effetti cattivo gusto.

Una battuta. Bond. James Bond.

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