05 aprile 2012 00:00

Zochrot è un’ong che vuole far conoscere la Nakba (catastrofe) agli israeliani. È una missione difficile, perché la maggior parte degli israeliani preferisce dimenticare l’espulsione di massa dei palestinesi nel 1948. In ebraico Zochrot significa “ricordando”, con un uso grammaticalmente sovversivo della forma del verbo al femminile anziché al maschile. L’organizzazione sostiene il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi e la convivenza con gli israeliani in un unico stato. Organizza visite ai villaggi palestinesi rasi al suolo, mostre e proteste. In questo modo è riuscita ad aprire qualche crepa nel muro dell’indifferenza.

Qualche settimana fa S., che vive a El Bireh, ha lasciato un messaggio sulla pagina Face­book di Zochrot: “Purtroppo il muro che ci separa mi impedisce di visitare la mostra a Tel Aviv”. Così S. e Zochrot hanno organizzato un evento a Ramallah. S. ha cercato un partner per preparare l’evento, ma senza successo. Alla fine ha chiesto ospitalità alla comunità quacchera locale, ma quando ha annunciato su Face­book la sua iniziativa, si è scatenato l’inferno. Un gruppo di giovani palestinesi è partito all’attacco in nome del rifiuto di collaborare con gli israeliani. I tentativi di spiegare che Zochrot sostiene il ritorno dei rifugiati palestinesi sono falliti miseramente. S. mi ha mandato alcuni commenti palestinesi: “Se gli israeliani vogliono venire a Ramallah dovranno passare sul nostro cadavere”; “Se sono davvero dalla parte della Palestina dovrebbero andarsene da Israele”.

*Traduzione di Andrea Spracino.

Internazionale, numero 943, 6 aprile 2012*

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