21 ottobre 2013 16:06

Nella settimana successiva alla chiusura della Fiera del libro di Francoforte, oplà, si aprono le polemiche. Se siete amanti del genere, eccovi Gian Arturo Ferrari che sul Corriere della Sera lamenta la mancanza italiana di creatività e dice che la responsabilità è (sic) di tutti e di nessuno.

Qui Christian Raimo che, dal blog di Minimum Fax, gli risponde per le rime. Qui invece il Manifesto, che titola “Questa industria libraria fa schifo”. E qui Linkiesta che, almeno, fa due più due e mette in relazione le scarse competenze linguistiche degli italiani, appena rilevate dall’Ocse, e le scarsissime fortune dell’editoria nazionale. Amen.

Se volete passare dalle polemiche ai fatti, eccovi l’analisi che, a partire dai dati dell’Associazione Italiana Editori, lavoce.info fa della situazione della lettura in Italia. In sostanza: quasi il 55 per cento degli italiani al di sopra dei sei anni di età non legge neanche un libro all’anno (manuali scolastici o di lavoro esclusi).

La percentuale degli italiani lettori, che nella seconda metà del secolo scorso è passata dal 16,3 per cento del 1965 al 41,9 per cento del 1998, risulta pressoché stabile da una quindicina d’anni, con una permanente differenza di genere: nel 2012 ha letto almeno un libro il 51,9 per cento delle donne contro un 39,7 per cento degli uomini. Ulteriore problema: solo un 15 per cento dei lettori, che comunque restano meno della metà degli italiani, legge libri sul serio (almeno un libro al mese).

Le cose vanno meglio con bambini e adolescenti: tra i 6 e i 19 anni oltre la metà del campione legge libri, con un picco (60,8 per cento) tra gli 11 e i 14 anni. Si noti che la spesa per le biblioteche scolastiche equivale allo 0,001 per cento della spesa scolastica complessiva.

Chi ha voglia di guardare nel dettaglio la tabella 5, inoltre, può scoprire un paio di dati interessanti: tra il 1995 e il 2012 cresce bene la lettura dei giovanissimi, resta pressoché stabile o addirittura cala quella di chi ha tra i 15 e i 19 anni, cresce di poco la lettura delle classi centrali di età, si impenna la lettura tra i 55 e i 74 anni.

Altra faccia della medaglia: una miriade di case editrici sforna una quantità di libri. Sono quasi 64mila nel 2011, con una crescita rispetto all’anno precedente che sfiora l’11 per cento: vuol dire 175 nuovi libri pubblicati ogni giorno. Una situazione paradossale.

E chissà quanta parte di questo gran pubblicare percorre le nuove frontiere e i modelli di business emergenti e sostenibili per l’editoria, sia cartacea sia digitale, che il Digitoriale racconta. Ecco alcune suggestioni: valorizzare la produzione di contenuti e renderla centrale in strutture editoriali più agili. Proposte di lettura in streaming. Scrittori finanziati dal pubblico. Universi narrativi (l’esempio è il russo Metro2033) in franchising. Aggiungo che l’idea delle wild duck mi sembra mica male: se qualcuno mi pagasse per starnazzare selvaggiamente in una casa editrice ne sarei entusiasta.

Tuttavia, ho il sospetto che qui da noi (altro che wild duck!) la situazione sia così tragica che, per modificarla in modo sostanziale, già potrebbero bastare un po’ di buonsenso e di buona volontà, la rinuncia a velarsi di panni catastrofisti, tanto nobili e seducenti quanto inconcludenti, e il coraggio di ripartire dalle piccole cose.

Che ci vuole a quintuplicare o a decuplicare l’irrisorio investimento nelle biblioteche scolastiche, per esempio? Che ci vuole ad avviare, come suggerisce Antonella Agnoli, un’indagine sulle biblioteche (alcune delle quali stanno peraltro registrando un piccolo ma significativo boom di lettori) con l’obiettivo di ottimizzare l’offerta scovando e diffondendo pratiche virtuose? E che ci vuole, per esempio, a offrire qualche incentivo ulteriore alla nuova classe di lettori tra i 55 e i 74 anni?

Che ci vuole a diffondere, anche sul web e con il passaparola, un’esperienza come quella delle Little free library, già esistente in Italia e peraltro replicata, in modo credo del tutto spontaneo, da questo bravo signore di Palermo?

E che ci vuole a far proprio il presupposto di Idea Store a Londra: i bibliotecari non devono star dietro al bancone aspettando i lettori. Devono andargli incontro. A questo proposito, leggetevi anche il bel post di Anna Pegoretti sulle differenze tra biblioteche italiane (universitarie e non) e biblioteche inglesi.

E magari è un po’ più complicato ripensare l’offerta delle librerie, però chi l’ha fatto ha avuto successo. Anche per quanto riguarda la promozione della lettura ci sono mille messaggi ispiratori e, per favore, non replichiamo i precedenti, modesti messaggi italiani.

La buona notizia – ne ho dato conto qui, l’ha sottolineato Tullio De Mauro su Internazionale – è che finalmente, e da diverse prospettive, di questi temi si parla al di fuori dei soliti circoli. In favore dell’investire in conoscenza si schiera anche Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia. Servirà a qualcosa?

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