01 aprile 2014 11:49

“Verso la svolta autoritaria” è il titolo dell’appello scritto da Libertà e giustizia e firmato da Stefano Rodotà, Gustavo Zagrebelski, Dario Fo e altri intellettuali. E da personalità autoritarie come Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio.

Un appello - diffuso prima di conoscere il testo della legge - che provoca polemiche, ma che conferma innanzitutto le anomalie della politica in Italia. La cui costituzione, anche dopo 66 anni, è sacra e intoccabile e ogni tentativo di modificarla equivale a un attentato. Il linguaggio dell’appello sfiora l’isterismo e fa presumere la resurrezione imminente del Duce: “Stiamo assistendo impotenti al progetto di stravolgere la nostra costituzione (…) per creare un sistema autoritario che dà al presidente del consiglio poteri padronali”. Apriti cielo!

La costituzione italiana ha partorito il parlamento più farraginoso, costoso e inefficiente d’Europa. Un parlamento in cui corporazioni e

lobbies da decenni svuotano ogni tentativo di riforma e uno stenografo arriva a guadagnare 290mila euro, più del presidente della repubblica. Un parlamento in cui per attivare il decreto sviluppo servono 71 passaggi tra decreti, regolamenti e provvedimenti amministrativi. Un parlamento che vara da decenni leggi incomprensibili che per entrare in vigore hanno bisogno di un fiume di decreti attuativi, specialità tutta italiana. Un parlamento in cui si può essere rieletti anche per cinquant’anni.

È lo specchio di un paese immobile e ingessato, in cui i partiti hanno sperperato milioni portando l’Italia nella crisi più grave del dopoguerra. Se in mezzo a questo immobilismo uno si mette a correre, desta sospetto. Dove vuole correre? La risposta è ovvia: verso la svolta autoritaria.

È da trent’anni che si discute di riforma del parlamento, una bicamerale è naufragata nel nulla dopo 18 mesi di lavori. Ma ora “non bisogna avere fretta”, come sostiene Gaetano Quagliarello, che è stato ministro per le riforme e membro del comitato dei saggi. Dopo aver prodotto centinaia di pagine bisogna fermarsi per riflettere. E per ridiscutere questioni già discusse decine di volte. Ma è questa la specialità della politica italiana: discutere per anni per partorire un topolino.

Ovvio che solo l’idea di un cambiamento drastico è vista come incubo. A prescindere dalla sua realizzazione, ma questa è tutta un’altra storia.

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