13 dicembre 2013 17:09

Il movimento dei forconi è una ribellione spontanea delle classi e dei lavoratori più colpiti dalla crisi? Oppure è un movimento proto-fascista che dietro a delle posizioni anticasta, antispeculazione e antiglobalizzazione nasconde un’anima intollerante, perfino razzista?

Se c’è una cosa che abbiamo capito in questi giorni è che questo non è un movimento unitario e verticale. Ci sono almeno due leader “storici”, e almeno due sigle in campo. Ma pur rilasciando dichiarazioni e interviste a destra e a manca, né Mariano Ferro del popolo dei forconi né Martino Morsello del movimento dei forconi sembrano avere il minimo controllo sul dilagare territoriale e trasversale del fenomeno.

Nato soprattutto tra agricoltori e autotrasportatori siciliani (le due categorie coinvolte nei nove giorni di blocchi di porti e autostrade che hanno paralizzato la Sicilia nel gennaio 2012), il movimento si è allargato a comprendere tassisti, commercianti, precari e perfino studenti in tutt’Italia. Ed è stato poi cavalcato strumentalmente da varie forze politiche, da Beppe Grillo a Casa Pound.

Mi pare di aver capito che l’anima dei nuovi forconi siano quei piccoli imprenditori che con la crisi e la gogna delle tasse, le licenze e le bollette sono diventati più poveri – anche se a volte la definizione di povertà è soggettiva. La Jaguar con cui si sposta un altro capo del movimento, Danilo Calvani (quello che auspica un governo ad interim fatto da carabinieri, magari senza casco) appartiene a un suo amico camionista, Walter Dell’Unto. Dopo che la sua azienda di trasporti è fallita nel gennaio di quest’anno, Dell’Unto ha comprato la Jaguar “perché mi serviva un mezzo di locomozione”, ha detto a Vanity Fair.

Ciò non toglie che ci sono, senza dubbio, persone davvero disperate tra gli aderenti al movimento. Persone che hanno ragione a lamentarsi del sostanziale vuoto di idee del governo italiano in materia di crescita.

Però le piccole ma significative violenze verso i “non credenti” (giornalisti compresi), i tentativi di chiudere supermercati, centri commerciali e perfino librerie, le frasi antisemite, le posizioni antieuropee, le minacce contro dirigenti e dipendenti di Equitalia – ovvero, prendersela con il bastone, non con chi lo usa – sono i segni di una protesta senza qualità, un cocktail di rivendicazioni, pregiudizi e rancori a lungo covati che ricorda nelle sue forme, se non i suoi contenuti, i primi vent’anni del ventesimo secolo.

Risale a qualche giorno fa l’annuncio che l’Irlanda è uscita indenne, e in discreta salute, dal pacchetto di salvataggio imposto (dopo la Grecia) dalla troika formata da Fondo monetario internazionale, Unione europea e Banca centrale europea. Sono stati anni di enormi sacrifici per gli irlandesi, sacrifici che si protrarranno per molto tempo ancora. Recentemente la Bbc ha raccontato la storia di un ex imprenditore di Dublino che adesso vive con l’anziana madre e integra la sua magra dieta con i piccioni che riesce a catturare in giardino. Altro che Jaguar.

Gli irlandesi non sono noti per la loro obbedienza al potere; eppure hanno affrontato una crisi per molti versi peggiore di quella italiana con notevole compostezza, anche perché, avendo scelto un nuovo governo pochi mesi dopo l’imposizione delle condizioni massacranti del piano di salvataggio, si è creata una certa complicità democratica fra elettori e eletti.

Si tratta forse della penitenza di massa del paese più cattolico d’Europa di fronte ai peccati degli anni del boom, quelli in cui l’Irlanda fu soprannominata la “Tigre celtica”?

Può darsi. Ma quello che è certo è che l’identità corporativa della protesta dei forconi e la sua esclusione di altre categorie (per esempio chiunque crede ancora nel sindacato) sono segnali preoccupanti in un paese che ha enorme bisogno di coesione. Per affrontare, magari, dei nemici veri: interi sistemi, non solo quegli ingranaggi del sistema che mi fanno pagare troppe tasse (a questo proposito, mi pare che i forconi abbiano molto da dire sul peso delle imposte, ma non siano altrettanto loquaci sull’evasione fiscale).

Per rispondere alla mia domanda iniziale, non mi sembra che il movimento dei forconi sia di matrice fascista. Ma è innegabile che usi metodi di quegli anni per imporre le sue ragioni, con chiusure forzate di negozi, insulti, minacce e quello che un collega di Repubblica (riferendosi alle tante saracinesche abbassate in Puglia), chiama “una specie di solidarietà forzata”.

Se fossi in vena di scherzare, lo chiamerei squadrismo

light. Ma i forconi non mi ispirano ilarità.

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