È quanto meno curioso che la necessità di una stretta sulle intercettazioni telefoniche sia proclamata dal ministro di un governo che solo qualche settimana prima aveva approvato una norma per intercettare perfino gli organizzatori dei rave party. Eppure è ciò che è accaduto. Il ministro è quello della giustizia, Carlo Nordio, e l’annuncio – arrivato nel corso delle audizioni dello stesso Nordio al senato e alla camera del 6 e 7 dicembre – s’inserisce nel quadro di una più ampia riforma del sistema penale anticipata proprio in questa occasione, e che ha già suscitato molte critiche.

Nordio è partito dalle cause che, a suo parere, impediscono alla giustizia di funzionare. “La presunzione di innocenza”, ha detto, “continua a essere vulnerata in molti modi”. Tra questi, “l’adozione della custodia cautelare come strumento di pressione investigativa”, lo snaturamento dell’informazione di garanzia “diventata condanna mediatica anticipata” e l’azione penale “diventata arbitraria e quasi capricciosa”.

In particolare, l’obbligatorietà dell’azione penale – ossia la regola che impone al pubblico ministero di avviare le indagini quando entra in possesso di una notizia di reato e che è fondamentale per garantire l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge – si sarebbe convertita addirittura in un “intollerabile arbitrio”. L’impossibilità per le procure di gestire migliaia di fascicoli porterebbe infatti a dover scegliere i fatti sui quali indagare e questa situazione, ha affermato il ministro, “conferisce alle iniziative, e talvolta alle ambizioni, di alcuni magistrati, per fortuna pochi, una egemonia resa più incisiva dall’assenza di responsabilità in caso di mala gestione”.

Problemi reali
Tra i guasti del sistema ci sarebbe anche l’uso “eccessivo e strumentale delle intercettazioni” telefoniche. “La loro diffusione, talvolta selezionata e magari pilotata”, costituirebbe secondo il ministro “uno strumento micidiale di delegittimazione personale e spesso politica”. “Vigileremo in modo molto rigoroso su ogni diffusione che sia arbitraria o impropria”, ha avvertito Nordio annunciando “una profonda revisione” delle regole.

E un cambiamento potrebbe arrivare anche sul fronte della separazione delle carriere della magistratura. Nordio per il momento si è limitato a un accenno, dicendo che non ha senso che giudici e pubblici ministeri appartengano allo stesso ordine. Ma è comunque bastato. D’altra parte la posizione della destra sul punto è ben nota da anni.

Come detto, tutto ciò si inserirebbe all’interno di una riforma complessiva del sistema penale e processuale. L’obiettivo è armonizzare le regole contenute nel codice penale, il cui impianto originario risale agli anni del regime fascista, con quelle del codice di procedura, che disciplina indagini e processo. Il codice procedurale è infatti molto più recente del primo, ed è ispirato ai princìpi del cosiddetto processo accusatorio in cui pubblica accusa e difesa sono poste su un piano di parità di fronte al giudice, e sono previste più garanzie per indagati e imputati rispetto al passato.

La destra radicale sembra intenzionata ad affrontare le questioni sociali soprattuto in termini di ordine pubblico, dando soluzioni di natura prevalentemente securitaria

Va detto che sul punto Nordio ha ragione. E ha ragione anche a sollevare alcune questioni come quella fondamentale dei problemi che affliggono da molto tempo il funzionamento dell’obbligo di azione penale. Il guaio è però nelle risposte che il governo si prepara a dare. Nonostante la vaghezza con cui il ministro ha accennato al contenuto di quelle riforme, c’è infatti la sensazione che ancora una volta si finirà per correre il rischio di vedere limitata la capacità di azione della magistratura. E c’è chi teme che si potrebbe arrivare perfino a intaccare l’indipendenza delle procure della repubblica.

Giuseppe Santalucia, presidente dell’Associazione nazionale magistrati (Anm), ha affermato che “l’architettura costituzionale del potere giudiziario non andrebbe toccata”. “L’obbligatorietà dell’azione penale e l’unità delle carriere”, ha spiegato, “sono i due pilastri di questa architettura” e un’azione penale discrezionale aprirebbe la strada al controllo politico sulla magistratura, “così come il pubblico ministero separato dalla giurisdizione diventa controllabile”. Anche per Armando Spataro, magistrato di lungo corso, i progetti di riforma annunciati da Nordio, “se approvati, finirebbero con il determinare la sottoposizione dell’ordine giudiziario al potere politico”.

Più in generale, il programma annunciato da Nordio presenta diverse convergenze con la visione berlusconiana del sistema penale. Al governo, però, oggi c’è la destra radicale guidata da Giorgia Meloni che esprime una idea di giustizia perfino più inquietante di quella della destra berlusconiana, e che sembra intenzionata ad affrontare le questioni sociali soprattutto in termini di ordine pubblico, dando soluzioni di natura prevalentemente securitaria. E non è un caso se la stessa Meloni, affermando di condividere quanto affermato da Nordio, si è definita “una garantista nella fase di celebrazione del processo e una giustizialista nella fase di esecuzione della pena”.

Comunque sia, ci vorranno anni prima di vedere come questa riforma, per il momento so tratteggiata, vedrà la luce, sempre che riuscirà a vederla. Per una parte significativa, infatti, serviranno modifiche alla costituzione, circostanza che ne rende più difficile il cammino poiché presuppone un largo accordo politico che per il momento è difficile immaginare. D’altra parte, lo stesso Nordio di recente aveva spiegato che per il momento la priorità è rendere efficiente il sistema giustizia, poiché la lentezza dei processi comporta anche un costo economico molto ingente. Ciò significa che per ora restano centrali il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), la produttività degli uffici giudiziari, o questioni come la revisione del reato di abuso di ufficio.

Insomma, se la sostanza è di là da venire, gli annunci del governo servono per il momento soprattutto a produrre sostanza politica. Il Terzo polo, e in particolare l’area renziana, si infatti è già detto disponibile a sostenere la riforma. E questo esalta le distanze esistenti tra le opposizioni, cosa che a Meloni non dispiacerà, con un Partito democratico che appare smarrito più che mai e un Movimento 5 stelle decisamente contrario.

Ma, soprattutto, aprire la questione giustizia consente di restituire peso a una destra che in queste prime settimane al governo ha faticato a trovare temi nobili con i quali caratterizzarsi, avvitandosi in discussioni di piccolo cabotaggio come quella sul pos. E la giustizia, peraltro, è un argomento che consente di ricompattare quella stessa maggioranza che era arrivata al governo divisa su tutto o quasi. Considerato il contesto, probabilmente questo per Meloni è già abbastanza. Il resto si vedrà. Resta però da capire se anche Nordio la pensa così.

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