Nel Viaggiatore incantato di Nikolaj Leskov, un uomo racconta la sua vita a un gruppo di persone durante la traversata in battello del lago Ladoga, in Russia. Per i passeggeri è difficile non fare caso a quell’uomo imponente, con “i capelli color piombo” e una “voce di basso”, ed è ancora più difficile non ascoltare le sue avventure. Perché sono storie incredibili, animate da cavalli maestosi, principi e vagabondi, bambine e matrigne; in cui escono monete dagli stivali e appaiono fuochi magici; e dove si passa da piazze affollate al silenzio della steppa. Queste storie sembrano essere cadute addosso al narratore, ma sono talmente assurde che chi ascolta non ne è mai sazio.

Il viaggiatore incantato è un libro che mi ha consigliato di leggere Chiara Guidi il giorno in cui ci siamo conosciute, e ha delle affinità con il suo lavoro: è una favola pura, che scoppia di natura e d’immaginazione ma non risparmia il brutto, la ferocia e la violenza; è scritto in una lingua che combina la spontaneità della narrazione orale a una riflessione intensa che quasi la deforma; ed è, per questi motivi, un testo che chiede un certo sforzo.

Guidi è una drammaturga, regista e attrice, ed è tra i fondatori della Societas Raffaello Sanzio (oggi Societas), una delle compagnie più radicali del teatro contemporaneo. Da trent’anni porta avanti una ricerca sulla favola, la voce e l’immagine, e lo fa collegandosi soprattutto all’infanzia. Non per sviluppare un teatro “adatto” ai più piccoli, ma per imparare da loro come innovare il teatro, in una sorta di pedagogia rovesciata. Come Leskov, Guidi popola il suo lavoro di piante e animali, di prove da superare e figure misteriose. Ammette lo scarto che viene dal gioco e dall’improvvisazione, ma sempre all’interno di una composizione rigida. E cerca la fatica. In più, visto che si confronta con lo sguardo dei bambini, non può non rapportarsi con il mondo che loro conoscono di più, cioè con la scuola. Per questo la sua indagine è preziosa per chiunque la scuola la fa o la studia.

Aule che sanno di fieno

Il primo risultato di questa esplorazione è il Teatro infantile, un progetto nato nel 1992, quando la Societas chiese al comune di Cesena di poter usare gli spazi di un vecchio istituto professionale abbandonato per mettere in scena le favole di Esopo. Lo spettacolo era pensato per poche classi delle elementari alla volta ed era itinerante, prevedeva cioè un percorso. “Ci serviva un luogo dove poter fare dei buchi, aprire varchi, imbrattare e scorticare l’intonaco”, scrive Guidi nel libro Teatro infantile (Luca Sossella 2019). Inoltre, la rappresentazione doveva essere letterale: servivano gli animali. Così le aule, i laboratori meccanici e i corridoi della vecchia scuola si riempirono per circa due settimane di galline, piccioni, conigli, tacchini, un cavallo con il suo puledro, mucche, maiali. Perfino un gregge di pecore. Quell’esperienza, che oggi probabilmente non sarebbe ripetibile, trasformò la scuola in un teatro, il Comandini, da allora sede della compagnia. E ha spinto verso più direzioni la ricerca di Guidi sull’infanzia.

Studenti assistono allo spettacolo di Chiara Guidi al teatro Grassi di Milano, novembre 2022. (Davide Bertuccio per Internazionale)

Ci sono stati molti spettacoli (il più famoso, con allestimenti in tutto il mondo, è forse Buchettino, del 1995). C’è stata la Scuola sperimentale di teatro infantile, aperta ai bambini e alle bambine dagli otto ai dieci anni, e vietata ai genitori. Per intuire lo spirito di quell’esperienza vale la pena di leggere il volantino che Guidi distribuì nelle elementari di Cesena, il primo anno. È un foglio in cui sono disegnati, tra le altre cose, degli ortaggi, delle lance, una specie di rifugio-caverna, e dice: “Bambini, volete giocare a farvi male senza farvi male? (…) Volete abbracciare una piovra, o essere una piovra? (…) Allora potete venire qui da me. Sapete cos’è il teatro? È far finta di essere qualcuno che fa delle cose vere. Oppure è fare delle cose per finta, ma essere bambini veri. Insomma il teatro ci fa fare delle cose scombussolate. Con il teatro (…) si ride e si piange per finta. E si fa ridere e piangere per davvero, in una stanza che può diventare mare e montagna. Insomma, non so se mi avete capito, ma con il teatro si riesce a fare tutto quello che non esiste, e provare cose impossibili, e incredibili. Il teatro è come una scala verso un altro mondo. Venite tutti alla mia scuola. (…) Vi saluta la Chiara, la vostra finta maestra. Dite ai vostri veri genitori di telefonare subito al mio ufficio. Il teatro sperimentale è gratuito e comincia presto”.

Dal 2011, poi, ci sono le giornate di Puerilia, sempre a Cesena (l’edizione 2023 si sta svolgendo proprio in queste settimane).

Più o meno dagli stessi anni Chiara Guidi propone dei laboratori gratuiti agli adolescenti. E per gli insegnanti organizza dei corsi di aggiornamento, riconosciuti dal ministero dell’istruzione. Questi corsi seguono strade completamente diverse rispetto alle attività che di solito vengono offerte a maestre e maestri. Per capirlo basta soffermarsi sui titoli che hanno, come “Il potere analfabetico della fantasia”, “il potere anacronistico dell’anima”, “_Totem”. Oppure si può sfogliare un piccolo volume, Interrogare e leggere: la domanda e la lettura come forme irrisolvibili di conoscenza (Edizioni Sete 2021), che è la trascrizione del ciclo di lezioni del 2018.

Il potere analogico della bellezza

Lo scorso novembre, al Piccolo di Milano, ho ascoltato una di queste lezioni destinate agli insegnanti. Sono state due ore dedicate all’immaginazione, in particolare alla forza dell’analogia.

Pensare per analogie significa lasciarsi ispirare dalle immagini per rafforzare il senso delle parole, spiega Chiara Guidi al gruppo di maestre e maestri presenti nella sala. È un modo di interpretare la realtà che non ha niente di trascendente, ma è potente. Ed è anche molto fertile, se pensiamo a tutte le intuizioni che ha regalato alla scienza e alla tecnologia – il suono presentato come un’onda, la respirazione descritta come una combustione, oppure lo schermo di un computer che diventa una scrivania.

La scuola ha un grande bisogno di analogie. Per chiarire meglio cosa intende, Guidi prende spunto dal mondo della natura. Cita il pedagogo Comenio, che nel seicento pubblicò quello che è considerato il primo libro illustrato per bambini della storia, e il suo “alfabeto vivo”, in cui a ogni lettera è associato il verso di un animale. Poi mostra alcuni schizzi realizzati da Charles Le Brun, un pittore francese vissuto più o meno nella stessa epoca, in cui volti umani sono accostati a profili di animali. “Quando noi diciamo ‘questo uomo è un leone’, sappiamo di affermare qualcosa di impossibile, che non si trova nella realtà”, osserva Guidi. “Ma una frase del genere serve. Serve soprattutto alla scuola, che deve profanare la realtà”.

Stare sotto

Per non restare inchiodati in un solo punto di vista, continua, bisogna spostare lo sguardo. Guardare in alto, ma anche in basso. Sullo schermo del Piccolo appaiono altri disegni, stavolta di apparati radicali. Fanno parte di una collezione che comprende più di mille bozzetti, frutto di quarant’anni di scavi nei boschi europei, soprattutto in Austria. Sono immagini molto belle, impressionanti per la ricchezza di particolari. E viene quasi istintivo scambiarle per delle intricate reti di sinapsi.

Chiara Guidi al teatro Grassi di Milano, novembre 2022. (Davide Bertuccio per Internazionale)

Le radici riassumono in un’immagine un concetto molto caro a Chiara Guidi, “lo stare sotto e non volere a tutti costi fare qualcosa per stare sopra”. Vale per l’arte come per la scuola. “Spesso curiamo la piantina che spunta fuori dal terreno”. Invece dovremmo “lavorare sulle radici, nasconderci lì per capire cosa costruiamo con gli studenti”. Ragazze e ragazzi avrebbero un estremo bisogno di “trovare un altro linguaggio per dire stando sotto e nascosti”, con “qualcuno che abbia il coraggio di entrare nel loro mondo”.

I maestri l’ascoltano affascinati, ma anche un po’ smarriti. Un’insegnante dice di sentire il mondo degli studenti come troppo distante. Guidi le risponde che è vero, facciamo fatica a comprendere i ragazzi. Però, anche loro fanno fatica a comprendere noi. Insiste sul fatto che, se si cerca di costruire una relazione che sospende il giudizio, qualcosa si fa.

Dante riverberato

Il giorno dopo, in un’altra sala del Piccolo, il teatro Grassi, Guidi ha cambiato pubblico. Si è rivolta agli studenti, con uno spettacolo: Esercizi per voce e violoncello sulla Divina commedia di Dante. Inferno.

In platea ci sono cinque, sei classi delle scuole secondarie, alcune a indirizzo musicale. Sul palcoscenico, illuminati da due luci, si vedono a sinistra dei microfoni e a destra degli strumenti musicali; sul fondo sono proiettati due grandi quadrati bianchi. Chiara Guidi e il musicista Francesco Guerri entrano in scena, e comincia subito la composizione. All’inizio le parole sono sussurrate, ai versi si alternano schiocchi di dita e rumori fatti con uno strumento indefinito. Poi, quando a esprimersi è Virgilio, la voce è un’eco che si alterna alle corde percosse del violoncello. Successivamente le strofe hanno un tono mostruoso (sono i versi di Flegiàs) e più avanti ancora diventano cupe, mentre il violoncello produce una melodia.

Questo dialogo tra parole e suoni è durato circa un’ora. Ascoltarlo è stato sicuramente coinvolgente ma anche piuttosto impegnativo, perché gli Esercizi non sono una perifrasi del testo di Dante: ripropongono versi composti settecento anni fa, senza provare a semplificarli, a degli adolescenti. Possono costruire quella relazione di cui parlava Guidi? Mi sono data una risposta ascoltando il confronto tra gli studenti, Guidi e Guerri, che era previsto dopo lo spettacolo. Questi sono alcuni passaggi.

Un ragazzo: “Lo schiocco delle dita a cosa serve?”.

Guidi: “Secondo te a cosa serve? Esatto: ‘Sbrigati!’”.

Una studente, a Guerri: “E il primo strumento che hai usato, cos’era?”.

Lui: “Avevamo bisogno di uno strumento dissacrante per il primo canto dell’Inferno, non volevamo cominciare subito con il violoncello. Uso uno strumento molto rudimentale: è una chitarra per fare gli spaghetti modificata, collegata a un pick-up”.

Una ragazza: “A volte respiravate insieme, come l’avete scritto?!”.

E una sua compagna: “Ho percepito lo spazio vuoto che siete riusciti a riempire con le vostre due voci, come avete fatto?”.

Su questo punto interviene il tecnico che ha curato il suono, Andrea Scardovi, per elencare i microfoni che sono sistemati sul palco: “Uno dinamico, per il riverbero; uno più scuro; uno che riproduce un suono molto nitido. E poi c’è anche un microfono che ho costruito io, noi lo chiamiamo ’medicina’. Questi strumenti, insieme ad altri effetti e alle luci, fanno sì che lo spettatore veda il suono”.

Continua Guidi: “Il suono apparentemente non ha una forma, ma mette in moto la forza d’immaginare. È una vostra responsabilità vedere questi suoni, è la responsabilità dell’ascolto”. E poi, sollecitata dalla domanda di un’insegnante, continua: “Il punto fondamentale è non cercare la spettacolarizzazione del suono. Cercate le radici di quello che siete. C’è un suono che tu fai che è davvero paradisiaco per te? So che può sembrare strano, ma è più difficile ricreare il suono dell’inferno, perché è pieno di cliché, è ruvido. Voi semplificate. Il suono del paradiso nessuno lo ha mai sentito!”.

Un ragazzo, alla fine del dibattito, sorride. “Ho sognato”.

Anche nel libro di Leskov i passeggeri che hanno seguito il viaggiatore incantato nelle sue folli peripezie sembrano soddisfatti. “E che altro, del resto, ci sarebbe stato ancora da domandargli?”, commenta l’autore. “Il racconto del suo passato egli aveva reso con tutta la sincerità della sua anima semplice, e le sue predizioni restarono per il momento nelle mani di Chi nasconde i propri decreti agli uomini di senno e di ragione e soltanto li svela talora agli infanti”.

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