19 gennaio 2015 12:31

Analogia vuol dire somiglianza o equivalenza di proporzioni, di caratteristiche, di funzioni, di forma, di struttura. La parola viene dal greco ἀνα (uguale) λόγος (discorso, parola, ragionamento, proporzione).

Pensare per analogie vuol dire abbandonare il processo logico che lega cause ed effetti secondo rigorose relazioni lineari, e andarsene a spasso per l’universo delle possibilità in cerca di somiglianze. È un modo di pensare potente e fluido e può aprire nuove strade. È anche un modo di pensare fertile: molte intuizioni scientifiche, tecnologiche e imprenditoriali nascono da analogie.

Analogie e metafore sono costruite sulla somiglianza tra elementi, ma sono strumenti profondamente diversi. Per dirla semplice: la metafora è un’analogia condensata, che cortocircuita due elementi che hanno qualcosa in comune elidendo il dato comune: “un tramonto di sangue” (il colore rosso, attributo comune al sangue e al tramonto, è sottinteso), “un pugno di ferro” (la durezza, attributo comune al pugno e al ferro, è sottintesa).

Da Omero a Magritte, la metafora è un potente strumento di creatività artistica perché permette anche di trasferire istantaneamente valenze emotive dall’uno all’altro elemento. Così, quel tramonto assume una sfumatura oltre che rossa, drammatica, e quel pugno diventa metallico, gelido e inflessibile, senza che stiamo troppo a chiederci come mai.

L’analogia è invece un potente strumento di creatività scientifica proprio perché, esaltando il dato comune, ci permette di leggere un fenomeno ignoto alla luce di uno noto, e analogo. Il matematico-biologo Jacob Bronowski scrive che “le scoperte scientifiche non sono altro che esplorazioni o meglio esplosioni di analogie nascoste”.

Così, nel primo secolo dopo Cristo, l’architetto romano Vitruvio paragona il modo in cui il suono delle voci degli attori si espande in un anfiteatro al movimento delle onde concentriche che si creano sulla superficie dell’acqua in seguito a un urto, e intuisce la dinamica delle onde sonore. Antoine Lavoisier, il padre della chimica, nel 1700 ipotizza che la respirazione sia analoga alla combustione, e scopre che l’ossigeno gioca un ruolo importante in entrambi i casi. Lo stesso Charles Darwin mette a punto la teoria dell’evoluzione individuando analogie tra le strutture anatomiche dei fossili di animali estinti e quelle delle specie viventi, e tra quelle di una specie e l’altra.

Kevin Dunbar della McGyll university studia il modo di procedere degli scienziati e scopre che usano le analogie quando non trovano risposte immediate al quesito che si stanno ponendo, che lo fanno sia per esprimere concetti sia per trovare modelli interpretativi, che i professori usano molte più analogie degli studenti, che gli scienziati più produttivi sono quelli che usano più analogie quando discutono del loro lavoro. Steven Pinker scrive che, interpretate accuratamente, le analogie “non sono solamente strutture seducenti ma vere teorie che producono previsioni verificabili e possono suggerire nuove scoperte”.

La Harvard Business Review segnala che le analogie sono la chiave del pensiero strategico imprenditorale. Servono quando non si dispone di dati sufficienti per portare avanti un semplice ragionamento deduttivo, e quando un processo per prove ed errori rischia di risultare inefficiente o troppo costoso: insomma, in una quantità di casi. Segnala anche i rischi connessi con l’usare analogie di superficie, fuorvianti: la similarità non deve stare nella “buccia”, ma nella struttura interna degli elementi considerati.

Fast Company racconta come la Ford, agli inizi del secolo scorso, abbia sviluppato l’idea della catena di montaggio del Modello T a partire dalla visita a un mattatoio di Chicago, in cui le carcasse degli animali (roba pesante quanto la carrozzeria di un’auto) vengono movimentate grazie a carrelli sopraelevati. E di come l’idea vincente di Steve Jobs sia immaginare lo schermo di un computer come “scrivania” (desktop): un’analogia che oggi ci sembra ovvia, ma che ai tempi non lo era. The Impact Blog spiega come le analogie servano per vendere, contestualizzando offerte nuove all’interno di scenari noti o attraenti. Non tutto l’articolo mi convince, ma la prospettiva è interessante.

Se ci fate attenzione, scoprirete che anche il pensiero quotidiano è zeppo di analogie: sono quelle che il filosofo Douglas Hofstadter, in una lectio magistralis all’università di Bologna, definisce “analogie usa e getta”. Ci servono per spiegarci meglio e più in fretta, o per capire come comportarci in una situazione nuova ma analoga a una che conosciamo già. “L’analogia è la macchina che ci permette di usare il nostro passato per orientarci nel presente”, dice Hofstadter. Il testo (pagine 8/18) è brillantissimo, è in italiano e merita una lettura.

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