“Abbiamo cominciato a lavorare e a un certo punto lui mi ha chiesto di togliermi la biancheria. Io sono rimasta sorpresa e ho mostrato resistenza, lui mi ha detto che un’attrice deve essere libera. Mi ha chiesto di dimostrargli di essere senza inibizioni, ero a un provino e l’ho fatto.”, questa è una delle testimonianze raccolte nell’arco di due anni dal collettivo di attrici Amleta, che denuncia la violenza e il sessismo nel cinema e nel teatro in Italia. Le testimonianze sono arrivate a una casella di posta aperta dal gruppo proprio per aprire questa discussione. In alcuni casi, queste persone poi hanno deciso di denunciare gli abusi attraverso l’assistenza dell’associazione Differenza donna.

“Mi chiedeva di toccarlo e di baciarlo, io non ci riuscivo. Era notte fonda, erano ore che lavoravamo ed ero molto stanca. A un certo punto mi ha messo una mano in bocca, dicendomi che mi doveva liberare la mascella, poi mi ha messo la mano sotto la gonna. Ero come in una morsa. Non so come, in quel momento ho perso tutte le forze, un misto di paura e di delusione”, racconta una donna, che vuole rimanere anonima, in un’altra testimonianza.

“L’accademia in cui ho studiato aveva condiviso l’annuncio di un pittore che cercava attrici e modelle per dipinti di nudo. Mando un’email per propormi, sono tra le prime ad andare tra le mie compagne. Lui mi fa entrare in questo studio soppalcato, mi sembra serio e professionale. Prima ci accomodiamo e parliamo di come procedere. Poi mi spoglio e mi posiziono dove mi dice, mi chiede se può toccarmi per mettermi in una posizione corretta. Poi dopo un po’ mi dice: ‘Così non funziona’. Mi riposiziona. Gambe aperte e busto a novanta gradi. Con una mano dipinge e con l’altra studia tutto il mio corpo, toccando, palpando, stringendo. Sono impietrita, ho 21 anni, lui almeno cinquanta. Improvvisamente mi afferra per le parti intime e mi prende con violenza. Io non emetto un suono, non un movimento, non una lacrima. Poi mi lascia all’improvviso. Io mi rivesto in fretta e me ne vado. Non so cosa pensare: ‘Me la sono cercata?’. Eppure essendo un annuncio dell’accademia mi ero sentita protetta. Non ho mai avuto il coraggio di avvertire le altre e di denunciare la cosa”, dice un’altra donna, in una delle testimonianze raccolte. Dopo averla pubblicata, Amleta ha ricevuto altre lettere che denunciavano lo stesso tipo di violenza e lo stesso responsabile.

“Più i palcoscenici sono importanti più diminuisce la presenza femminile”, osserva l’associazione Amleta

In due anni di attività l’associazione Amleta ha raccolto 223 denunce di abusi, molestie e violenze sessuali. Nel 93 per cento dei casi gli abusi sono stati commessi su donne, mentre gli uomini sono la maggior parte degli abusanti, tranne in due casi. Le denunce arrivano da attrici o aspiranti attrici. Le violenze nelle testimonianze raccolte da Amleta sono state commesse da soprattutto da registi (nel 41,2 per cento dei casi), poi nel 15,7 per cento da attori e nel 6,28 per cento da produttori.

“Il collettivo Amleta nasce durante la pandemia”, spiega Cinzia Spanò, una delle fondatrici. “In quella circostanza noi lavoratrici dello spettacolo ci siamo dovute fermare e abbiamo affrontato una serie di questioni: è stato allora che è emersa la necessità di denunciare collettivamente il sessismo e la violenza in questo settore. Ci siamo rese conto della mancanza di donne ai vertice dei grandi teatri, per esempio: sono poche le autrici e le registe, una minoranza le donne che calcano i grandi palcoscenici. Gli abusi e la violenza nel mondo dello spettacolo sono solo la punta dell’iceberg di un sistema che è ancora pieno di stereotipi e di violenza sistemica”, continua Spanò.

“Abbiamo cominciato contando quante siano le donne che salgono sul palcoscenico. Anche se sono moltissime quelle che lavorano dietro le quinte (sarte, costumiste, scenografe) permettendo agli uomini di andare in scena, quando consideriamo le artiste salite sul palco nel triennio 2017-2020 nel ruolo di attrici, registe, drammaturghe, la situazione è deprimente”.

Il sipario di cristallo

Secondo la mappatura delle presenze femminili nei teatri italiani – realizzata da Amleta – le donne salite sul palco dei principali teatri italiani tra il 2017 e il 2020 erano il 37,5 per cento del totale degli attori, mentre le registe sono il 21,6 per cento e le drammaturghe il 20,7 per cento. Infine non ci sono donne alla guida dei grandi teatri nazionali.

“Abbiamo voluto osservare i palcoscenici più grandi, vedere quello che avveniva in queste sale che ricevono più attenzione dal pubblico e dei mezzi d’informazione e quindi anche più fondi. È emerso che più i palcoscenici sono importanti più diminuisce la presenza femminile. Lo abbiamo chiamato il sipario di cristallo. In Italia gli uomini sono registi e drammaturghi nell’80-85 per centro degli spettacoli e questo ha delle conseguenze”, continua Spanò.

“Significa che l’interpretazione dei classici e del repertorio e la costruzione dell’immaginario del teatro ha ancora una matrice maschile”, conclude l’attrice. Invece in platea la situazione è completamente ribaltata: “Il pubblico del teatro è a maggioranza femminile: sono le donne che pagano i biglietti e gli abbonamenti, si siedono in poltrona ma si vedono rappresentate prevalentemente dallo sguardo maschile. È su questa disuguaglianza che vogliamo agire”.

La violenza normalizzata

Per l’attrice e attivista, la violenza così diffusa in certi ambienti è frutto anche di questo sistema squilibrato: “Già quando frequentiamo le accademie, da giovanissime, ci dicono che le attrici devono essere disponibili dal punto vista sessuale. C’è tutta una narrazione che riguarda l’atteggiamento che le attrici devono avere con i loro corpi. Sono stereotipi molto dannosi e contribuiscono a normalizzare la violenza nel mondo dello spettacolo”, continua Spanò. Ma il problema è che chi denuncia rischia l’isolamento e l’emarginazione, anche da parte delle altre donne, e di non lavorare più.

“Quando le attrici denunciano ricevono poco sostegno. Ricordo a questo proposito una di loro che ci ha scritto: ‘Mi dissero che se avessi denunciato sarebbe saltata tutta la tournée. Avevo 26 anni, saltai io’. Forse proprio per questa mancanza di solidarietà la maggioranza degli abusi è vissuta nella solitudine, le attrici non parlano per vergogna, senso di colpa, paura”. Secondo Spanò, le denunce raccolte da Amleta sono solo l’indicatore di un fenomeno molto più diffuso e sommerso, “come accade sempre, quando parliamo di violenza maschile sulle donne”.

L’avvocata giuslavorista Chiara Colasurdo – che collabora con Amleta oltre che con le associazioni Lavorovivo e Differenza donna – ha raccolto una quarantina di denunce di molestie sessuali sui luoghi di lavoro presentate da altrettante lavoratrici dello spettacolo e che stanno confluendo in cinque processi.

“Il codice delle pari opportunità e il codice di condotta dell’Organizzazione internazionale del lavoro per l’eliminazione della violenza sessuale sui luoghi di lavoro contemplano questa fattispecie di abusi e molestie e permettono di agire in giudizio per chiedere l’interruzione delle condotte illecite, la rimozione degli effetti (demansionamenti) e il risarcimento del danno”, spiega Colasurdo.

Il problema, secondo l’avvocata, è che tante donne oltre a essere in una condizione di subordinazione “come sempre in un rapporto di lavoro, subiscono poi il ricatto della molestia”, e per “paura di perdere la possibilità di lavorare” decidono di denunciare anche molto tempo dopo il fatto. “I casi sono i più disparati: ci sono registi di alto profilo oppure quello che definiamo il sottobosco, registi o produttori di calibro più piccolo che in ogni caso abusano del loro potere, per esempio per molestare le donne e le ragazze durante i provini”.

“È importante che le donne sappiano che esistono strutture in grado di assisterle, sia sul piano del lavoro sia su quello penale e psicologico”, conclude l’avvocata.

La protesta davanti al teatro Eliseo

Il sistema culturale italiano, tuttavia, tende a minimizzare molte di queste denunce: il 10 maggio diverse attrici e attori hanno protestato per manifestare solidarietà alle colleghe di Amleta che sono state prese di mira dall’attore, regista ed ex parlamentare Luca Barbareschi in una lunga intervista pubblicata in prima pagina dal quotidiano la Repubblica. Barbareschi ha accusato le attrici di denunciare le violenze e gli abusi per farsi pubblicità: “A me viene da ridere, perché alcune di queste non sono state molestate, o sono state approcciate malamente ma in maniera blanda, non cose brutte. Alcune di queste andrebbero denunciate per come si sono presentate. Sedendo a gambe larghe”.

E ancora riferendosi al collettivo Amleta: “Ho trovato il loro un giusto pensiero, ma poi è diventato qualcosa di modaiolo. L’attrice che si fa pubblicità. In Francia sono impazziti tutti, noi produttori abbiamo fatto un corso sulle nuove regole di set, che sono impossibili da applicare”.

Con lo slogan: “Lo stupro non è un Barbatrucco”, scritto su dei cartelloni, attivisti e attiviste del collettivo Campo innocente si sono denudati dalla vita in giù davanti al teatro Eliseo, di cui Barbareschi è stato a lungo direttore.

“Ci sentiamo impotenti di fronte a queste dichiarazioni, per questo abbiamo voluto portare i nostri corpi di nuovo in piazza”, spiega Ilenia Caleo, attivista, performer e ricercatrice, tra le fondatrici del collettivo Campo innocente, nato per denunciare il sessismo e la precarietà del mondo dell’arte dal vivo. “Quelle parole sono violente e agiscono sui nostri corpi e sulle nostre vite: di fatto legittimano lo stupro, minimizzano e ridicolizzano le attrici che denunciano le violenze e le molestie, vanificano il lavoro che tante e tanti fanno da anni. Barbareschi è in una posizione di potere, si parla di lui per dei ruoli di dirigenza alla Rai. E usa il suo potere per gettare discredito sulle attrici che denunciano le violenze: non ci risulta che chi ha denunciato la violenza subita abbia fatto carriera, o abbia lavorato di più, come sostiene lui”.

Caleo afferma che le parole di Barbareschi sono tanto più gravi perché arrivano in un momento di grande precarietà e fragilità economica del mondo teatrale italiano: “Questo è un momento storico in cui non ci sono fondi per il teatro, non ci sono più festival e le lavoratrici e lavoratori dello spettacolo sono in situazioni economiche spesso disperate, quindi più esposte alla violenza. Nel corso di questi anni abbiamo denunciato come precarietà e violenza siano strettamente collegate: è più difficile dire no a situazioni ambigue oppure denunciare molestie e violenze quando sei in una situazione di perenne precarietà e intermittenza lavorativa”.

Nel corso degli ultimi anni anche Campo innocente, come Amleta, ha raccolto decine di denunce di molestie e abusi nelle accademie, durante i provini o nelle prove: “Il lavoro delle attrici e degli attori prevede un’esposizione fisica ed emotiva enorme, per questo è anche più soggetto ad abusi”.

“Chi denuncia si espone e rischia di non lavorare, il settore culturale subisce tagli sistematici che penalizzano le esperienze più fragili e indipendenti, non esiste alcuna forma di reddito per le lavoratrici precarie della cultura e dello spettacolo”, continua Caleo. Il teatro Eliseo è stato un punto di riferimento della scena culturale romana per questo è stato scelto per la protesta del 10 maggio: “Ma proprio con la direzione di Barbareschi, prima si è trasformato in un luogo di intrattenimento televisivo, poi è stato chiuso a causa dei buchi nel bilancio. Ci sembrava un luogo simbolico in cui esprimere la nostra rabbia e la nostra distanza da quelle parole”.

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