Nell’emergenza idrica che sta affliggendo l’Italia di emergenziale non c’è nulla. Da almeno vent’anni la penuria d’acqua è un problema strutturale del paese, spiega Francesco Vincenzi, presidente dell’Associazione nazionale bonifiche irrigazioni miglioramenti fondiari (Anbi).

La particolarità di questa siccità è che è arrivata troppo presto. Una precocità ben descritta dalla magra del Po, la più grave degli ultimi settant’anni. Secondo i dati dell’autorità di bacino, che ha raccomandato di ridurre i prelievi per l’irrigazione del 20 per cento, la portata del fiume a Pontelagoscuro è scesa al minimo storico di 170 metri cubi al secondo: meno della metà del livello d’allerta, fissato a 450. Nel 2003 e nel 2006 il Po era già sceso sotto la soglia di guardia, ma a fine agosto.

L’agonia del fiume più grande d’Italia è solo il simbolo della grave siccità che investe tutta la pianura padana e che si estende al centro e al sud. È il risultato della concomitanza del calo drastico delle precipitazioni – meno 60 per cento quelle piovose, meno 80 per cento di neve, già terminata nei depositi alpini – e delle alte temperature: a giugno si sono registrati in media tra i 3 e i 4 gradi sopra la media stagionale, mentre dalla Nasa fanno sapere che la primavera 2022 è stata la quinta più calda dal 1880.

Con l’eccezione del lago di Garda, sono in forte affanno tutti i bacini del nord, pieni per meno del 20 per cento, mentre l’anno scorso erano ancora oltre il 90. In sofferenza anche i fiumi: la portata del Tanaro è ridotta di due terzi. Il Piemonte è la regione più colpita, dove 250 comuni hanno emesso ordinanze per incentivare l’uso responsabile dell’acqua. Ma si rischia il razionamento anche nella bergamasca e nell’appennino parmense. Nella zona del Delta, il cuneo salino è risalito di almeno 20 chilometri verso Ferrara, mettendo a rischio la disponibilità d’acqua dolce per l’agricoltura e per l’uso potabile di circa 800mila persone.

Al centro gli effetti della siccità sono già tangibili nel Lazio, dove la turnazione dell’acqua potabile è già in corso in 22 comuni della provincia di Frosinone. La misura potrebbe presto riguardare altre 180mila persone. Il presidente della Regione Nicola Zingaretti ha decretato lo stato di calamità.

Cabina di regia

Regioni ed enti locali, oltre a chiedere di usare i fondi del Pnrr e a dirottare acqua dall’idroelettrico all’agricoltura, vorrebbero la dichiarazione dello stato di emergenza nazionale. Questo garantirebbe lo scudo politico del governo quando sarà necessario assumere decisioni impopolari come il razionamento delle risorse idriche.

Le regioni sono anche al lavoro per definire i criteri necessari per la dichiarazione dello stato di emergenza: da concedere se il danno alla produzione agricola supera il 30 per cento del vendibile. Esecutivo e Protezione civile, invece, preferiscono una decisione che consenta di valutare caso per caso i singoli territori, ma non si sa quando verrà ultimata.

Il ministro dell’agricoltura Stefano Patuanelli ha raccomandato che le richieste dello stato di emergenza e calamità arrivino insieme, per coordinare gli interventi della protezione civile e risarcire i danni non assicurabili.

Patuanelli ha anche sottolineato la necessità di creare un fondo per assicurare le aziende agricole dai danni causati dagli eventi climatici estremi, che saranno sempre più comuni.

Un settore in affanno

È l’agricoltura, infatti, il settore più colpito. Coldiretti stima per tre miliardi i danni già causati dalla siccità. Il grano, in fase di raccolta, è tra le colture meno a rischio, con un calo previsto del 30 per cento. Alla perdita si aggiungono il rincaro del 170 per cento dei fertilizzanti e del prezzo del gasolio agricolo, quasi triplicato in un anno. Ortofrutta, soia e mais sono le coltivazioni più a rischio. Discorso a parte lo merita il riso: senza pioggia le amministrazioni di Pavia, Novara e Vercelli dovranno scegliere tra la salvaguardia del raccolto e razionare l’acqua per l’uso civile.

Le conseguenze sono serie anche per la produzione energetica, già in affanno a causa della crisi del gas. Sul Po, si è fermata la centrale idroelettrica di Isola Serafini, a San Nazzaro. Ma la siccità sta bloccando anche la produzione termoelettrica, che necessita di acqua per il raffreddamento degli impianti. Già ferme le centrali di Moncalieri, Sermide e alcuni gruppi di Ostiglia, ma altri cinque impianti rischiano l’interruzione. Per questo si pensa alla riapertura delle centrali a carbone di Venezia fusina, La Spezia e Monfalcone.

Sullo sfondo il rischio incendi: ancora non ci sono situazioni critiche, ma la stagione dei roghi inizia a luglio.

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