Sulla gravità della siccità sono tutti d’accordo, su come affrontarla invece no. Dopo la dichiarazione dello stato di emergenza in Lombardia di sabato scorso, anche Piemonte, Veneto e Friuli Venezia Giulia stanno preparando i piani regionali per affrontare la crisi idrica. Quello dell’Emilia-Romagna è già pronto, ma il presidente Stefano Bonaccini ha chiesto la dichiarazione dello stato di emergenza a livello nazionale.

Dal canto suo, il governo ha fatto sapere che i piani regionali potrebbero avere il via libera già a partire da lunedì, e questo consentirebbe il rimborso rapido dei costi per le misure necessarie a garantire l’acqua dove manca, come l’impiego di autobotti. Per il “decreto siccità”, al quale sta lavorando il governo, potrebbero volerci ancora due settimane, ma la bozza che circola sui tavoli dei ministeri coinvolti e delle regioni interessate (quelle settentrionali e l’Umbria) prevede la nomina di un commissario straordinario che in caso di emergenza opererebbe tramite ordinanze.

In attesa di una linea comune, si procede in ordine sparso. Sono centinaia i comuni del nord e del centro Italia che hanno già predisposto il razionamento dell’acqua. Tra questi Milano, dove è vietato il prelievo per annaffiare prati, lavare auto e riempire piscine. La Lombardia ha chiesto cinque milioni di metri cubi di acqua al Trentino per irrigare i campi, e sempre le province autonome di Trento e Bolzano hanno aumentato il flusso dell’Adige per fare arrivare più acqua al Veneto.

È il Po il termometro della crisi. Grazie alle piogge dei giorni scorsi al nord, la portata a Pontelagoscuro è cresciuta a 200 metri cubi al secondo, rimanendo però nettamente sotto la soglia di guardia, che è fissata a 450 per contrastare la risalita del “cuneo salino”: l’avanzamento del mare per 30 chilometri verso l’entroterra, che ha segnato un record storico, mettendo a rischio la disponibilità di acqua potabile per circa 800mila persone. Il livello del fiume è così basso che oltre alle coltivazioni, stanno soffocando le vongole e le cozze allevate nel delta del fiume. Per salvaguardare il Po, l’autorità di bacino è tornata a raccomandare di ridurre i prelievi per scopi agricoli del 20 per cento e di aumentare i rilasci dai laghi alpini verso il fiume della stessa percentuale.

Intanto la siccità si aggrava anche al centro. In Toscana circa il 90 per cento del territorio versa in condizioni di “siccità estrema”, spiega l’Associazione nazionale bonifiche irrigazioni e miglioramenti fondiari (Anbi), e fiumi come Bisenzio e Ombrone “sono ridotti a rigagnoli”. Una situazione simile a quella del Tevere, che in alcuni tratti “sembra paludoso, con acqua ferma”, denuncia l’Autorità di bacino. Ancora non è in discussione l’acqua potabile, ma dopo le limitazioni alla produzione di energia idroelettrica, la situazione è sempre più grave per l’agricoltura. Coldiretti ha stimato i danni causati al settore in tre miliardi di euro, perdite destinate a crescere entro fine estate. Per questo, il ministro dell’agricoltura Stefano Patuanelli ha sottolineato la necessità di istituire un piano ristori per le aziende, ricordando che nel Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) sono previsti 1,3 miliardi per ampliare il sistema irriguo agricolo e potenziare le infrastrutture. Anche il presidente del consiglio Mario Draghi ha parlato della necessità di predisporre un “grande piano per l’acqua”, per il quale sono già stati stanziati quattro miliardi del Pnrr. In entrambi i casi si tratta di misure strutturali, con effetti visibili a lungo termine: l’unica soluzione per la siccità sul breve periodo è la pioggia, che per ora però non si vede.

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