L’ultima arruolata nella battaglia pro o contro le fonti di energia rinnovabili è Imma Tataranni, sostituta procuratrice. Non una persona in carne e ossa, bensì la protagonista dei romanzi di Mariolina Venezia e delle fiction tratte da essi andate in onda, con gran successo, su Rai 1. Che c’entra con l’eolico e con il fotovoltaico? In un comunicato del 28 ottobre scorso un gruppo di associazioni ambientaliste l’ha eletta propria paladina perché in un episodio dello sceneggiato la pm, interpretata da Vanessa Scalera, mandava sul banco degli imputati un gruppo criminale responsabile d’aver piantato enormi pale eoliche in pregiate porzioni del paesaggio pugliese.

Dallo schermo alla vita reale. L’emergenza climatica e la crisi negli approvvigionamenti di gas dopo l’invasione russa in Ucraina hanno agitato le acque nel mondo ambientalista. Non infuria solo una battaglia tra sostenitori di sole e vento, da una parte, e imperterriti difensori delle fonti fossili, dall’altra. A incrociare le armi sono anche le associazioni ambientaliste tenacemente favorevoli alle rinnovabili e quelle quantomeno scettiche se non diffidenti. La faglia è aperta da tempo, ora però si è spalancata.

Legambiente, Wwf e Fondo ambiente italiano (Fai) hanno redatto un documento in cui si spinge in modo netto verso l’installazione di pale eoliche e di impianti fotovoltaici e si denunciano lentezze nelle procedure di autorizzazione, grovigli burocratici, conflitti tra istituzioni centrali e locali, e l’assenza di norme univoche che disciplinino la materia e definiscano con chiarezza dove e come possano essere piazzate pale e pannelli senza maltrattare paesaggi o consumare preziosi suoli agricoli.

Sul fronte opposto sono schierate associazioni storiche come Italia Nostra e poi Amici della terra e la Lega italiana protezione uccelli (Lipu), più una serie di comitati locali molto battaglieri nei rispettivi territori. Troppi paesaggi collinari e costieri, dicono a Italia Nostra, e soprattutto nelle regioni meridionali, sono stati gravemente alterati da impianti sistemati senza una logica pianificatoria, assecondando interessi privati, talvolta opachi, e non valutando il rapporto tra costi e benefici. Inoltre, aggiungono i tecnici dell’associazione, le richieste di nuove autorizzazioni per impianti sia solari ma soprattutto eolici hanno raggiunto un numero talmente elevato (per un valore totale di 300 gigawatt di potenza, il quadruplo di quanto previsto per il 2030 dal Piano nazionale integrato energia e clima, il Pniec, messo a punto dal governo) per cui “l’Italia è diventata riserva di caccia delle multinazionali che vanno alla ricerca di terre da accaparrare”.

Il dibattito si è fatto acceso. Secondo Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, “il contrasto con Italia Nostra e altre associazioni è profondo ed è dovuto alla loro scarsa consapevolezza di quanto la crisi climatica, e non le pale eoliche o i pannelli solari, distrugga paesaggi. Se non la fronteggiamo, di qui ai prossimi venti o trent’anni molte zone dell’Italia meridionale e insulare saranno affette da desertificazione e si fonderanno i ghiacciai delle Alpi. Noi vogliamo bloccare il riscaldamento globale e il ricorso alle energie rinnovabili è una via da perseguire, ma non possiamo ridurci, come vorrebbero Italia Nostra e altri, a sistemare pannelli solari sui tetti dei capannoni industriali o a eliminare gli sprechi, entrambe pratiche utilissime, ma per niente sufficienti”.

Nonostante le tante domande di autorizzazione, sono ancora lontani gli obiettivi di decarbonizzazione fissati dal Pniec, scrivono nel documento le tre associazioni. Entro il 2030 da solare ed eolico dovranno arrivare 85 gigawatt di potenza installata. Sessanta dovrebbe fornirli il solare, attualmente fermo a 22, e 25 dovrebbero giungere dall’eolico, che ora ne produce 11,5. Stando a un calcolo elaborato da Legambiente, se si dovesse procedere al ritmo dei sette anni precedenti, vale a dire una media annua di 0,8 gigawatt installati, si raggiungerà la meta non prima del 2100.

Di litigi, soprattutto tra Italia Nostra, nata nel 1955, e Legambiente, che vede la luce nel 1980, è costellata la storia dell’ambientalismo. Venendo alle vicende più recenti, nel febbraio 2022 Legambiente ha definito “una vittoria storica” l’inserimento all’articolo 9 della costituzione, che tutela paesaggio e patrimonio storico e artistico, anche dell’ambiente, della biodiversità, degli ecosistemi e degli animali. Molto più fredda Italia Nostra, che ritiene ambiente e biodiversità compresi nella nozione di paesaggio, se inteso non semplicemente dal punto di vista estetico. Di qui il rischio, sostengono a Italia Nostra, che la tutela del paesaggio non sia più preminente su ogni altra considerazione, così come ha stabilito più volte la corte costituzionale.

Volendo brutalmente sintetizzare, Italia Nostra accusa Legambiente di pronunciare troppi sì e questa ribatte imputando a Italia Nostra troppi no. Ma non tutto si riduce a questo schema sbrigativo. Molto dipende dalle questioni sul tappeto o dalle articolazioni locali delle associazioni. Spiega Antonella Caroli, da un anno alla guida di Italia Nostra: “Con Legambiente abbiamo diversità di vedute, ma soprattutto una specie di divisione dei compiti. Noi siamo impegnati sul versante dei centri storici, dei beni culturali e del paesaggio, loro su quello ambientale. Ma dove è possibile collaboriamo, siamo schierati contro l’abusivismo edilizio, per esempio, e contro i condoni”.

Al cuore dell’aspro dibattito sulle energie rinnovabili c’è la concezione stessa del paesaggio e della sua tutela. Già il titolo che Legambiente, Wwf e Fai hanno dato al loro documento, “Paesaggi rinnovabili”, allude all’idea che i paesaggi, appunto, non siano entità statiche, ma si siano sempre rinnovati e che continueranno a farlo per esigenze di vario tipo, produttive e non solo. L’importante, sottolinea Ciafani, “è che le trasformazioni vadano governate e non subite passivamente, il che accade quando troppo spesso si grida al lupo al lupo”.

Pale eoliche a Durazzano, provincia di Benevento, febbraio 2022. (Vincenzo Izzo, LightRocket/Getty Images)

Pale che superano i 150 metri sul crinale di una collina e distese di pannelli che piallano un’altura sono trasformazioni corrette, che rispettano lo statuto di un luogo? Sono dunque uguali a un terrazzamento realizzato per una piantagione di limoni? Nel documento delle tre associazioni non manca la denuncia degli “squilibri causati dall’effetto ‘selva’ di progetti del passato su alcuni territori”. Ma l’accento è posto sulla possibilità che gli impianti del futuro si integrino con i paesaggi esistenti, creandone magari di nuovi. E per questo si auspica che s’investa “di più sulla formazione permanente dei professionisti e del personale delle pubbliche amministrazioni già attivi sul paesaggio”, vale a dire soprattutto i funzionari delle soprintendenze statali, che le associazioni additano come responsabili di molti no alle autorizzazioni.

Un rapporto più solidale proprio con le soprintendenze caratterizza invece Italia Nostra. Lo ribadisce Caroli: “Noi collaboriamo con i loro uffici. Forniamo documentazione e analisi. Il problema non sta nella scarsa competenza dei funzionari, ma negli organici assolutamente carenti a fronte di un vertiginoso aumento delle pratiche: in media manca il 50 per cento del personale tecnico-scientifico”. “E poi non pensiamo che i paesaggi siano immutabili”, insiste Caroli. “Dal dopoguerra i paesaggi sono cambiati in seguito all’industrializzazione del paese, alla crescita delle città, all’emigrazione dalle campagne. Italia Nostra ha contrastato l’espansione caotica, gli scempi e la speculazione edilizia. Insomma le tante ferite inferte al paesaggio italiano. Ma, tanto per fare qualche esempio, abbiamo apprezzato quartieri come il QT8 a Milano, progettato da Piero Bottoni o la Falchera a Torino, su disegno di Giovanni Astengo, perché bene inseriti nel paesaggio e a loro volta sottoposti a tutela”.

Dal livello nazionale a quello locale

Lo scontro rimbalza anche in seno al governo e apre uno squarcio che chissà come possa essere ricomposto. Dalla parte di Legambiente, Wf e Fai twitta il ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin, mentre all’opposto rumoreggia il sottosegretario alla cultura Vittorio Sgarbi, il quale contro l’eolico si spinge ben oltre Italia Nostra: “Si è allargata l’associazione a delinquere che in nome dell’ambientalismo favorisce gli speculatori e la criminalità organizzata”.

Da quello nazionale il braccio di ferro si trasferisce al livello locale. Nel 2021 Legambiente ha redatto il report “Scacco matto alle rinnovabili” nel quale sono elencati una ventina di progetti che stentano a decollare dal Veneto alla Basilicata, dal Mugello alla Sardegna e alla provincia di Viterbo e poi giù verso la Puglia e la Sicilia. Ovunque Italia Nostra è al fianco sia delle soprintendenze (che però hanno potere effettivo su aree sottoposte a vincolo paesaggistico, altrove il loro no può essere eluso), sia di uffici regionali o comunali, sia di comitati e gruppi di cittadini. Ma su questo punto, “bisogna fare attenzione”, avverte Ciafani, “noi siamo presenti nell’alto Tirreno, a Civitavecchia, a Trapani o a Termoli e in queste località dove i progetti sono bloccati abbiamo percepito che ci sono larghi settori di popolazione favorevoli alle rinnovabili nei loro territori, al di là di quel che sostengono comitati che hanno molto riscontro mediatico”.

I punti specifici di frizione sono tanti. Basta considerare quello sui pannelli solari nei centri storici. Per Legambiente, Wwf e Fai sono ammissibili “a certe condizioni”. Italia Nostra si oppone, sostenendo che è del tutto improprio accanirsi su una porzione così pregiata e così assolutamente ridotta del territorio nazionale. Ma nel documento delle tre associazioni sono presenti i passaggi attraverso i quali è possibile ricomporre il contrasto: tra i primi obiettivi si auspica che tutte le regioni, d’accordo con le soprintendenze, varino finalmente i piani paesaggistici, fissando dove e come si possano installare impianti fotovoltaici o eolici. Anche Italia Nostra insiste su questo aspetto, aggiungendo però quali sono i siti ideali per un fotovoltaico che non danneggi il paesaggio: i tetti dei capannoni industriali (circa 700mila); le aree ex industriali da bonificare (calcolate in circa novemila chilometri quadrati); i tetti degli edifici pubblici e privati al di fuori dei centri storici (circa 760 chilometri quadri). Più che sufficienti, aggiungono a Italia Nostra, per raggiungere la meta indicata nel Pniec per il solare.

Il dibattito prosegue e i toni sono rimasti bruschi anche durante la pausa natalizia. A tutti sono giunti gli auguri di Legambiente: una cartolina con due pale eoliche su una vetta innevata affiancate dalla celebre Blowin’ in the wind di Bob Dylan.

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