Quando Vinicio Capossela parla, è come se cancellasse e riscrivesse continuamente appunti su un quaderno. Si ferma spesso a cercare le parole giuste e torna più volte su concetti già espressi, come un meccanico che dopo aver aggiustato qualcosa decide di dare un’ultima stretta ai bulloni. Conversare con lui è affascinante perché non si limita a raccontare le sue canzoni, ma a partire da esse costruisce ogni volta nuove storie e riflessioni.

Ti cita i libri che l’hanno ispirato, gli incontri che ha fatto in questi anni, i posti che ha visitato. Non è solo un musicista, è un divulgatore atipico, un maestro del pensiero non lineare.

Prendete Il bene rifugio, il brano che apre il suo nuovo disco Tredici canzoni urgenti, in uscita il 21 aprile. È una canzone d’amore che ha sullo sfondo la crisi internazionale innescata dalla guerra in Ucraina e si apre con il verso: “Il mondo cade a pezzi, il gas sale alle stelle”. Quando la analizza, Capossela parte da un dettaglio che all’inizio mi era sfuggito: “Il mio verso preferito di quel pezzo è ‘In una tenda di Achille deponiamo le armi’. “Quell’immagine l’ho presa dall’Iliade, è venuta fuori durante una conversazione con un’amica. Mentre a Troia infuria la guerra, la tenda di Achille diventa il luogo dell’intimità, un territorio neutro dove il conflitto non può entrare. Il bene rifugio è un pezzo sull’amore come forza rivoluzionaria”, aggiunge Capossela, che è in collegamento su Zoom da Scandiano, il suo paese d’origine vicino a Reggio Emilia. “Sono nella terra dell’Ariosto e del Boiardo”, dice sorridendo, in camicia bianca, gilet e cravatta scura, con l’immancabile cappello in testa e la barba folta.

Tredici canzoni urgenti, fin dal titolo, è un disco che si rivolge molto al presente, come ammette lo stesso cantautore nato ad Hannover. Ci sono riferimenti indiretti alla guerra in Ucraina (in La crociata dei bambini, che mette in musica un poema di Bertolt Brecht); riflessioni sulla mascolinità tossica e il femminicidio (in La cattiva educazione, cantata da Margherita Vicario e arrangiata da Enrico Gabrielli dei Calibro 35, presente anche in altri brani); c’è una rinnovata critica agli eccessi del consumismo (in All you can eat, un pezzo funkeggiante che ricorda lo stile del primo album All’una e trentacinque circa) e riflessioni sull’egemonia politica e culturale della destra in Italia (La parte del torto).

È il suo disco più politico? “Più che politico, direi civile. Non l’ho fatto apposta, è venuto spontaneo. Negli ultimi anni l’attualità si è fatta ineludibile, a partire dall’osceno applauso del senato italiano dopo la bocciatura del disegno di legge Zan nell’ottobre 2021 e dall’invasione russa dell’Ucraina”, spiega Capossela, “Ho pensato che dovevo attraversare questo dolore collettivo. Da quando è scoppiata la pandemia stiamo sperimentando un senso di pericolo, una riformulazione della libertà e del rapporto con l’ambiente sociale e naturale. In realtà ci sono anche motivi personalissimi alla base di questi brani, ma i motivi non importano, importano le canzoni, che sono qui, si sono imposte”.

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Il vertice emotivo del disco è la già citata La crociata dei bambini, ispirata alla Crociata dei ragazzi di Brecht, un poema che descrive un conflitto dal punto di vista delle vittime innocenti, un gruppo di adolescenti che attraversano le macerie di una terra in rovina in cerca della pace, cercando di preservare un briciolo di umanità in mezzo alla barbarie. Il poema di Brecht è cupo, crudo, mentre Capossela, che qui si affida al suo pianoforte, ad archi e a un fagotto, sceglie la strada della malinconia. “La guerra ci pone più di ogni altra cosa di fronte alla nostra finitezza. È una fornace, come la descriveva Céline in una lettera spedita ai suoi genitori quando era al fronte nella prima guerra mondiale, che inghiotte le storie di ognuno. Riduce in modo feroce le persone a cose e materia, è l’esasperazione più feroce della logica dell’utile”.

Un’altra riflessione sulla guerra, scherzosa nei toni ma terribile nei contenuti, è quella di Gloria all’archibugio, un inno riemerso dalle pagine dell’Orlando furioso che ricorda il momento in cui l’invenzione delle armi da fuoco ha cambiato il corso della storia. “L’Orlando furioso è un’opera piena di armi magiche. E l’archibugio viene descritta come la più prodigiosa, e la più pericolosa, non a caso viene definita ‘abominoso ordigno’. È la metafora migliore dell’industrializzazione della guerra, fino ad arrivare ai droni di oggi”, commenta il cantautore. Lo scrittore rinascimentale ritorna in Ariosto governatore, un pezzo folk ispirato all’episodio di Astolfo sulla luna che recita: “Se il senno è sulla luna qualcuno l’ha raccolto e lo raduna / se la ragione è qui che si conserva vuol dir che sulla terra non è rimasta che follia”. Anche questo è uno degli episodi più riusciti di Tredici canzoni urgenti, e il suo autore lo definisce “Ariosto in versione indie contemporaneo” mentre gioca con i capelli e il suo sguardo sembra perdersi lontano.

C’è anche un brano che parla di carcere, intitolato Minorità, frutto di una serie di esperienze finite nel quaderno di Capossela negli ultimi anni: dal concerto nel carcere di Volterra nel febbraio 2022 a una serie di conversazioni con il politico Luigi Manconi, che il cantautore sintetizza così: “Manconi dice che la prima condizione imposta dalla detenzione è la riduzione in stato di minorità, un’incapacità di essere padroni della propria volontà, di assumersi le proprie responsabilità e di diventare compiutamente adulti. Il sistema schiaccia l’individuo. Il carcere è il buco nero della nostra coscienza. Ce lo diceva anche Fabrizio De André, che ha scritto una canzone meravigliosa come Nella mia ora di libertà. L’anno scorso a Sanremo Giovanni Truppi mi aveva invitato a cantarla con lui e mi sono prestato volentieri”.

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Per il suo autore, Tredici canzoni urgenti è un album così importante da averlo spinto ad accantonare, almeno per il momento, altri progetti che erano già pronti, come un disco di canti per le feste registrato nel 2020 sotto Natale. “Quel lavoro era finito ed era quasi pronto a uscire, ma è arrivato qualcosa di più importante. E poi dopo il 24 febbraio scorso ho pensato che c’era davvero poco da festeggiare. L’ho rimandato in vista di tempi migliori”, dice Capossela.

Il cantautore presenterà dal vivo tutti i nuovi brani al conservatorio di Milano il 20 aprile. Poi li porterà sul palco la prossima estate solo per alcune date, mentre il tour vero e proprio si svolgerà in autunno nei teatri. “Queste canzoni non hanno bisogno di grandi scenografie, quindi l’allestimento della prossima tournée sarà più minimalista rispetto agli ultimi anni, perché i pezzi dicono da soli tutto quello che devono dire”, spiega.

Nonostante sia un disco di denuncia civile, Tredici canzoni urgenti si chiude con un brano abbastanza spensierato, un inno all’imperfezione e alla creatività intitolato Con i tasti che ci abbiamo, nel quale la voce di Capossela evoca la spensieratezza di un bambino e suona come liberata da un peso. “È un pezzo nato da un’idea semplice. I miei nipoti giocando hanno rovinato i tasti di un pianoforte e mi sono trovato a suonarlo con quelli che erano rimasti. Dal 2o20 le possibilità intorno a noi si riducono sempre di più, quindi dobbiamo accontentarci di quello che abbiamo. E lavorare sui limiti ci permettere di scovare delle possibilità e di fare qualcosa di autentico, che riguarda noi e non l’idea che abbiamo di noi, che ci fa scoprire una sincerità e un’immaginazione in grado di liberarci dalla dittatura dell’utile”.

Prima di salutarci, Capossela ci tiene a consigliarmi un libro dello scrittore di viaggio Patrick Leigh Fermor, Tempo di regali, che ha dato anche il titolo a uno dei brani dell’ultimo disco: “In quel volume Fermor racconta il suo primo viaggio fatto a piedi nel 1933, a diciassette anni, da Londra a Istanbul. Anche se attraversa un’Europa già preda dei totalitarismi, il suo sguardo è sempre pieno di curiosità, ricchezza e umorismo, mai toccato dall’odio che gli monta intorno. Leggilo, fidati, anche solo qualche pagina, perché ti mette in una bella disposizione d’animo. Del resto le cose che non hanno prezzo sono regali. La vita stessa è un regalo”.

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