andrea ventura

Il sole di mezzogiorno tinge d’ocra e rumore via di Mezzocannone. È passata la tempesta del covid, ma a Napoli i cartelli “vendesi” occhieggiano su molte saracinesche chiuse. È una storia piccola, ma ne incontra di più grandi e al limite dell’invenzione.

La strada delle università, dei librai e delle copisterie sferraglia di macchine, moto e bici, mentre i pedoni s’incrociano sui marciapiedi stretti. Una striscia d’ombra ritaglia un angolo di calma al civico 63, dove una bancarella di libri usati dà il benvenuto nel laboratorio del costruttore di una moderna e minuscola arca di Noè, la libreria Dante & Descartes.

Raimondo Di Maio è alle prese con cinquemila volumi di diritto romano appena comprati: “Avevo sistemato tutto per l’inaugurazione di questa nuova sede, ma è già ’nu burdell’ e pazz’”.

Di Maio – 64 anni, capelli grigi, occhi gentili e fisico minuto – si muove nei quaranta metri quadrati della sua libreria sistemando, accarezzando e indicando libri ovunque: sulle mensole; nelle scatole per terra; accanto, sopra e sotto la cassa; su sedie, sgabelli e ogni superficie disponibile. “In totale, qui e in tre depositi, tengo centomila volumi”, dice. È il tesoro di quasi quarant’anni di carriera da libraio ed editore indipendente che nel tempo ha cambiato tre sedi, ma sempre in via di Mezzocannone.

Trovatelli

“Qui prima c’era una gioielleria, che però ha chiuso”, racconta. Il proprietario gli ha lasciato una cassaforte, che Di Maio vuole trasformare “nella biblioteca più piccola del mondo”, dove custodire i suoi “piccoli giganti”: libri in trentaduesimo, di pochi centimetri per lato, che stanno sul palmo di una mano. “Ne ho venti casse, tremila volumi. Li ho esposti a Varsavia e Napoli, dovevo andare a Brera, ma poi è scoppiata la pandemia”.

Fanno compagnia ai volumi rari, nuovi e universitari che vende dal 1984, anno di apertura della libreria, ma occupano un posto speciale nella sua vita: “Sono dei trovatelli, quasi mai i rigattieri o le persone che si disfano di intere biblioteche ne hanno più di uno o due. Allora io li prendo e gli ridò una nuova vita. Io stesso pubblico dei libri in questo formato. Sono i giocattoli che non ho avuto da bambino”.

È l’unico momento in cui la voce di Di Maio si vela di amarezza. I libri in trentaduesimo sono un divertimento, ma raccontano anche un pezzo della sua vita. Cresciuto con la madre e due fratelli, Di Maio non ha mai conosciuto il padre e ha frequentato a lungo la mensa dei bambini proletari aperta da Lotta continua: “Sono nato in un basso e non me ne vergogno, dei bassi si dovrebbero vergognare i politici che li hanno permessi”.

Da un’adolescenza da scugnizzo che portava il caffè a domicilio “a lor signori della borghesia” e puliva “i cessi dei bar con stracci così fetenti” che popolano ancora i suoi incubi, Di Maio riuscì a tirarsi fuori grazie a un incontro difficile da immaginare oggi: “Ero un povero cristo, a salvarmi sono stati l’idea e il partito comu­nista”.

Tra Totò e Gramsci

Mi racconta com’è andata alla taverna Santa Chiara, un piccolo locale con pochi tavoli e sedie di legno in pieno centro storico. Il menù offre molto pesce ma Di Maio preferisce una pasta con patate e provola che gli ricorda i sapori di quando era piccolo.

“C’era una sezione del Partito comunista con un biliardo che attirava parecchi ragazzi”, sorride, “dal figlio del verduraio, uno di quelli che stavano meglio, ai rampolli della borghesia, fino ai proletari e marginali come me. Si respirava un’aria incredibile, ci scambiavamo libri e consigli. Di giorno lavoravo e la notte leggevo i Quaderni del carcere di Antonio Gramsci. E pensare che la mia prima lettura, come quella di molti a Napoli, era stata la raccolta di poesie di Totò, ’A livella”.

Di Maio racconta che a casa sua, come in tante altre, “non volava una carta”, cioè non giravano libri o giornali. Ma le poesie di Totò avevano raggiunto tutti. “Da bambini le recitavamo a memoria e poi gli adulti ci davano ’a mazzetta, qualche spiccio. Le versioni pirata si trovavano in ogni angolo della città. A un certo punto qualcuno aveva anche registrato Totò che le leggeva, aveva messo tutto su disco e vendeva le copie illegalmente. Era una specie di audiolibro, che le persone ascoltavano anche per strada”.

Con Gramsci andò diversamente: “Quando lo leggevo non capivo molto, ero troppo giovane, ma c’erano un metodo e una visione che mi hanno cambiato”. Di Maio riuscì a diplomarsi alle scuole serali, mentre si guadagnava da vivere lavorando in pizzerie e ristoranti a Milano, Bologna, in Francia e in Germania. Quando tornò a Napoli si iscrisse all’università: “A tre esami dalla laurea in filosofia ho mollato tutto per fondare la libreria insieme a due colleghi. Io c’avevo messo i risparmi, loro i soldi di famiglia. Alle sette aprivo e pulivo, loro dormivano. Alla fine hanno litigato e sono rimasto solo”.

In quasi quarant’anni ha provato a “tirar su qualche guaglione, ma non è andata”. A seguire la sua strada è stato il figlio: “Giancarlo ha aperto una sede della Dante & Descartes a piazza Del Gesù ed è molto più bravo di me”.

Per la sua nascita, nel 1988, Di Maio ha stampato il suo primo libro, e da allora ne ha fatti trecento. Da Jorge Luis Borges a Erri De Luca, passando per Domenico Rea e Louise Glück, la poeta statunitense che nel 2020 ha vinto il Nobel per la letteratura. Fino a quel momento Di Maio era l’unico in Italia ad avere un suo libro in catalogo.

“A pubblicare Averno mi aveva convinto José Vicente Quirante Rives, ex direttore dell’istituto Cervantes a Napoli, editore e grande amico”, racconta. “Prima della notizia del Nobel ero riuscito a venderne settanta copie con il sangue agli occhi. Poi i giornali e le tv hanno fatto il circo e le persone facevano la fila davanti alla libreria perché volevano un pezzo di Nobel da me”, scherza. “La trottola si è fermata dopo venti giorni, quando il Saggiatore ha comprato i diritti delle opere di Glück. Ma mi pare che l’interesse per questa grande autrice sia durato poco. Il capitalismo, anche nell’editoria, consuma tutto in fretta”.

Contrabbandiere di libri

Per resistere a questi meccanismi Di Maio sceglie non più di dieci titoli al mese: “Devo averli letti per non suggerire schifezze ai miei clienti”. Inoltre, ha una sua lista di contatti a cui scrive quando mette le mani su una rarità: “Lavoro con la povertà, compro e vendo libri vecchi, batto i mercati e le case sbaraccate. Per questo conosco molti rigattieri. Durante il lockdown non potevano lavorare e certi hanno venduto il corredo, i pezzi migliori. Così sono riuscito a comprare tre opere di Bruno Munari introvabili che sto vendendo a uno studioso americano”. Come altre volte, ha messo i titoli su eBay: “E mai su Amazon, maledetta sia. Jeff Bezos ha rovinato l’editoria e con il suo spirito predatore sta distruggendo le città, facendo fuori il commercio”.

A pagarne le spese sono anche i librai come lui: “Fino a qualche anno fa a Napoli c’erano circa cento librerie, oggi ci contiamo sulle dita di una mano e per sopravvivere dobbiamo rimboccarci le maniche”. Durante il lockdown ha dovuto reinventarsi: “Facevo il contrabbandiere di libri. Avevamo pubblicato un testo bellissimo di Walter Benjamin, Napoli porosa, che aveva avuto una buona recensione sul Venerdì di Repubblica. Hanno cominciato ad arrivare gli ordini: alcuni con Giancarlo li abbiamo spediti, ma tanti li abbiamo consegnati di nascosto qui a Napoli, girando in bicicletta e indossando guanti e mascherina. Da allora molti ci hanno chiesto di continuare con le consegne a domicilio e a noi diverte farlo”.

Gli faccio notare che un tempo portava i caffè nelle case delle persone, oggi i libri. Sorride e dice che non ci aveva pensato.

Il conto

Taverna Santa Chiara
Via Santa Chiara 6, Napoli

1 pasta con patate e provola €7,00
1 zuppa di pesce €14,00
2 calici di vino €6,00

Totale €27,00


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