La collezione Peggy Guggenheim di Venezia è il museo di arte moderna e contemporanea più frequentato d’Italia: nel 2022 ha fatto registrare 381mila visitatori, per fare un raffronto il MAXXI di Roma, museo nazionale per il contemporaneo, nello stesso periodo ne ha avuti 219mila. Nonostante questi numeri e la popolarità di certe opere, come quelle di Picasso, Pollock o i magnifici Magritte, la collezione riesce ancora a riservare delle sorprese.

È il caso della mostra dedicata al pittore veneziano Edmondo Bacci – artista molto apprezzato in vita, ma oggi poco noto al grande pubblico – che proprio Peggy Guggenheim aveva scoperto per prima, arrivando a paragonare i suoi dipinti astratti a quelli di Kandinskij, al livello di potenza poetica.

Nato nel 1913 e morto nel 1978, sempre nella città lagunare, Edmondo Bacci si è formato all’Accademia di belle arti di Venezia e per tutta la sua carriera è rimasto legato alla galleria del Cavallino.

La sua pittura si distingue per la rapidità con cui ha saputo cogliere le possibilità di una nuova astrazione e per lo stile personale con cui ha rielaborato le lezioni che venivano dalla tendenze più contemporanee in Europa e negli Stati Uniti. Il risultato, che non può prescindere dal senso della pittura veneziana per la luce, come ben dimostra l’accostamento con un Giudizio finale di Giambattista Tiepolo che chiude la mostra, è una pratica personale, ma consapevole, che sfrutta il colore come opportunità e restituisce anche una diversa percezione della realtà, per esempio nella serie dedicata a Cantieri e Fabbriche.

Qui le forme dell’immaginario industriale si fondono con i piani di colore per presentare qualcosa di nuovo, qualcosa di potentemente pittorico, con le linee che si fanno significanti decisivi, come accadeva per esempio con le ricerche di Mondrian, per citare un altro gigante del novecento. E il lavoro di Bacci, oltre che da Peggy Guggenheim, fu molto apprezzato anche da istituzioni internazionali come il Moma di New York il cui direttore Alfred Barr Jr. acquistò un dipinto del 1953 che è tuttora in collezione e che adesso viene esposto a Venezia, per la prima volta al pubblico italiano.

Un senso misterioso della realtà

La mostra è intitolata L’energia della luce e intende approfondire la parte più lirica dell’opera di Bacci, nel momento più internazionale della sua carriera, gli anni cinquanta, quando è già un artista affermato negli ambienti legati allo spazialismo di Lucio Fontana e tra i contemporanei più innovativi al livello nazionale. “La teoria principale di Fontana, in fondo”, ci ha detto la curatrice della mostra, Chiara Bertola, “è che tutto è fare spazio, quindi occorre riuscire a liberarsi, occorre costruire spazio facendolo realmente e non solo rappresentandolo. Questa è una dimensione molto importante, che però gli artisti veneziani continuano a rappresentare attraverso la pittura”.

“Quando Peggy Guggenheim arriva a Venezia e presenta la sua Collezione alla Biennale del 1948”, ha spiegato la direttrice del museo Karole P. B. Vail, “scopre anche i giovani pittori veneziani e decide che è suo compito sostenerli. Si innamora del lavoro di Bacci e lo aiuta moltissimo, lo promuove in America, frequenta il suo studio, compra le sue opere e i due stabiliscono anche un rapporto di amicizia. Noi da parte nostra abbiamo voluto continuare la tradizione di dare spazio agli artisti italiani, e in particolare veneziani, della Collezione”.

Fabbrica, 1951 circa. (Edmondo Bacci, Collezione Montanari, Venezia)

La mostra è intensa, profonda, si regge sulla chiarezza estetica del lavoro di Bacci, che in una lettera scriveva di “cercare ovunque l’incanto, un senso misterioso della realtà”. E guardando le sue tele si può intuire che cosa intendesse, perché i suoi Cantieri e le sue Fabbriche trasmettono proprio questa sensazione: la coniugazione tra una visione che va oltre la semplice realtà e crea un mistero, ma dentro quel mistero c’è, rinnovata, la dimensione dei luoghi reali. Che si fanno luce, colore e spazio, come sosteneva Fontana.

In un’altra lettera il pittore parlava di “una certa angoscia che sento vivendo” e che si manifestava sotto forma di cose, fatti e persone che “avverto come tracce misteriose di realtà, ‘presenze’ di qualcosa che sta per accadere di ‘avvenimenti’ che recano in sé una parte di verità segreta e invisibile”. E proprio il ciclo degli Avvenimenti è quello che costituisce il cuore della mostra, opere nelle quali lo spazio non è più sorretto da una griglia geometrica, ma si genera unicamente dalle relazioni di colore. Un colore assoluto e che abolisce ogni limite tra superficie e volume così come tra dimensione e traiettoria.

Accanto alla dimensione visuale, però, c’è anche quella politica, l’impegno di un artista che seppur profondamente timido e riservato si è avvicinato al Fronte nuovo delle arti e in particolare a Emilio Vedova e ad Armando Pizzinato, ai temi del lavoro, della società industriale e delle sue manifestazioni. Che poi ha preso anche la forma di uno sperimentalismo molto particolare che caratterizza gli ultimi anni del suo lavoro e della sua vita.

“Il percorso”, ha aggiunto Bertola, “si incentra soprattutto sugli anni cinquanta, io ho voluto arrivare fino al 1958, quando la Biennale gli dedica una sala. Però ho voluto anche mettere una sorta di cesura importante, esponendo tutte le opere concettuali che lui realizza negli anni settanta, perché rappresentano uno slancio straordinario, che reinterpreta di nuovo quel concetto di spazio da cui si era partiti, però con materiali completamente inediti e sperimentali”. È qui che si incontrano i suoi Gessi, le Sagome, i Teatrini, tutte opere che riflettono la sua attenzione verso nuove indagini extra pittoriche, rivolte alla materia. Ad affiancare questi lavori, una sezione è dedicata a un gruppo inedito di disegni e “Carte bruciate”, provenienti da diverse collezioni italiane e soprattutto dall’Archivio Edmondo Bacci, dove l’artista esplora su carta le potenzialità del segno grafico e del colore.

In occasione della mostra, poi, la Collezione Peggy Guggenheim ha realizzato un progetto con l’Accademia di belle arti di Venezia, invitando degli studenti a riprendere le tracce di Bacci e di altri quattro astisti veneti – Marina Apollonio, Tancredi Parmeggiani, Giuseppe Santomaso ed Emilio Vedova – per indagare da vicino il loro lavoro e produrre dei video che raccontino il percorso fatto e i risultati ottenuti. “Aprirsi ad artisti e artiste era nella visione di Peggy Guggenheim ed è oggi parte della nostra missione, perseguita attraverso tanti programmi educativi e attività di coinvolgimento del pubblico giovane”, ha chiosato la direttrice Vail presentando l’iniziativa. Che di Edmondo Bacci restituisce anche un ritratto privato e toccante.

La mostra “Edmondo Bacci. L’energia della luce”, a cura di Chiara Bertola, sarà esposta nella Collezione Peggy Guggenheim di Venezia fino al 18 settembre 2023.

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