C’è qualcosa di paradossale a Monza. È un capoluogo di provincia, la Monza-Brianza, ma gravita sulla grande Milano. È la terza città della Lombardia, con 123mila abitanti, ed è anche tra le più ricche grazie al suo tessuto industriale. Però ha un solo cinema e poca iniziativa culturale. È un po’ cosmopolita e un po’ provinciale. Un centro storico che sembra un salotto, e un proliferare di nuovi complessi residenziali che sconfinano nei comuni vicini.

Secondo Matteo Casiraghi, della segreteria della camera del lavoro monzese, il paradosso di Monza è che attinge a “un territorio dinamico, capace di innovare e anticipare i cambiamenti, mentre la città è conservatrice, ferma, ripiegata su di sé”. È così? Alla vigilia delle elezioni amministrative del 12 giugno, andiamo a vedere.

I candidati alla carica di sindaco sono nove, ma la vera competizione è tra Dario Allevi, Forza Italia, sindaco uscente che cerca un secondo mandato con il sostegno di Lega e Fratelli d’Italia, e Paolo Pilotto, vicino al Partito democratico e sostenuto da un ampio schieramento di centrosinistra. Non ci sono altre liste a sinistra; il Movimento 5 stelle ha ritirato il suo candidato.

Il mondo di Berlusconi

La Monza benestante, nel centro storico o nei quartieri di villini affacciati sulla villa Reale e il suo parco, ha sempre votato tra centro e destra. Del resto, a pochi chilometri dal parco di Monza c’è Arcore, con la villa di Silvio Berlusconi. Sul lato opposto, tra Monza e Sesto San Giovanni, giganteggia la torre con gli studi di Mediaset. È di Berlusconi anche la società Monza calcio, appena tornata in serie A con una fatidica vittoria sul campo del Pisa, che centinaia di tifosi hanno guardato sul maxischermo allestito davanti allo stadio cittadino. Fuori dal centro storico e dai villini però la geografia urbana è più complessa.

Partiamo dalla stazione di Monza centrale: qui ogni mattina oltre 18mila persone prendono un treno suburbano o regionale per andare a lavorare a Milano o nella sua immensa area metropolitana (era un dato pre pandemia, ma è tornato attuale). Intanto, circa 12mila studenti arrivano dalla Brianza per frequentare il liceo o altre scuole superiori, o la facoltà di medicina dell’università di Milano Bicocca che ha sede appunto a Monza. Ogni mattina inoltre circa 150mila veicoli percorrono le grandi direttrici stradali che sfiorano Monza da nord, in direzione Milano, per fare la sera il percorso inverso. Segno concreto di un’area metropolitana integrata ben oltre la provincia.

“All’inizio di quest’anno l’attività economica era tornata più o meno al livello precedente alla pandemia”, osserva Carlo Abbà, ingegnere elettronico e manager, già assessore alle attività produttive in una passata giunta di centrosinistra. Si riferisce all’intera Brianza, un tessuto di piccole e medie imprese che vanno dalla meccanica di precisione ai macchinari industriali, dall’alta tecnologia, all’artigianato del mobile, e naturalmente ai servizi, in particolare la logistica. Qualche realtà industriale resta anche in città. “Il problema casomai è trovare il personale qualificato, tecnici specializzati. Perfino in settori tradizionali come l’impiantistica c’è chi rinuncia a nuove commesse per mancanza di addetti”, dice Abbà.

Lasciando il centro storico si raggiunge la camera del lavoro, nella zona est della città. Oltre il fiume Lambro e la ferrovia, ecco un quartiere dove i capannoni industriali si alternano a vecchie case popolari e nuove palazzine, tra negozi con insegne di alimentari romeni o maghrebini. “È vero: sembra che questa città non sappia cogliere le innovazioni”, dice Angela Mondellini, segretaria generale della Cgil di Monza e Brianza. A prima vista la provincia sta uscendo dalla crisi: l’occupazione industriale è più o meno stabile e la disoccupazione, al 6,6 per cento, è al di sotto dalla media italiana. “Ma i numeri non dicono tutto”, osserva Mondellini. Sono scomparsi posti di lavoro nelle manifatture o nella filiera automobilistica, compensati da edilizia, logistica e servizi. Più di metà delle nuove assunzioni del 2021 sono a tempo determinato, la durata dei contratti è sempre più breve (in questo Monza rispecchia l’andamento italiano), e in mansioni basse. “Trovo preoccupante che i profili più richiesti siano commessi o baristi”.

Inoltre, negli ultimi tre anni a Monza è cresciuto il numero di famiglie e individui che percepiscono il reddito di cittadinanza, segno di tempi difficili. E oltre un quinto (22 per cento) dei giovani in Monza-Brianza sono neet: non sono nel sistema scolastico, nella formazione professionale né sono occupati. “Questa è una vera emergenza. La città deve tornare ad attrarre sviluppo, ricerca, imprese che investono nelle competenze e nell’innovazione. Solo così si crea lavoro buono, cioè qualificato”, continua la dirigente della camera del lavoro.

In un documento rivolto ai candidati, Cgil e Cisl propongono di creare a Monza un “hub della tecnologia”: una sorta di laboratorio, “un collegamento tra l’università e le imprese, tra la ricerca e chi investe nell’innovazione”, spiega Mondellini. “È paradossale che la sola innovazione urbanistica degli ultimi anni sia il prolungamento della metropolitana milanese”. Si parlava da decenni di portare la linea M5 fino a Monza centro: il progetto è infine operativo, anche se potrebbe richiedere una decina d’anni.

La Brianza degli immigrati

Un pomeriggio di maggio tutte le sale della camera del lavoro sono occupate: oltre a un corso di formazione sindacale, si svolgono corsi di italiano per stranieri, e in particolare per i numerosi cittadini ucraini arrivati nelle ultime settimane. Nel 2017 il centrodestra aveva vinto a Monza con una campagna tutta puntata su una presunta “invasione” di rifugiati che minacciavano la sicurezza urbana. Era l’epoca dei decreti sulla sicurezza dell’allora ministro dell’interno Matteo Salvini; la Lega aveva fatto del rifiuto degli stranieri la sua battaglia. A Monza militanti dell’estrema destra interrompevano le sedute del consiglio comunale gridando “prima gli italiani”. L’estrema destra del resto ha avuto una esplicita legittimazione nella giunta del sindaco Allevi, il cui assessore allo sport Andrea Arbizzoni ha dichiarato la sua appartenenza umana e politica al gruppo di Lealtà Azione.

Eppure “a Monza e in Brianza c’è una forte tradizione di volontariato, laico e cattolico: e anche in quel clima surriscaldato si vedevano iniziative di accoglienza diffusa”, osserva Matteo Casiraghi. È nata allora la rete chiamata “Brianza accogliente e solidale”. Riunisce associazioni come Libera, Emergency, Anpi, Arci, operatori sindacali, i giovani di Fridays for future, i sostenitori di Amnesty international, e molte associazioni locali. Il suo primo atto pubblico è stato nel marzo 2019 una manifestazione “per l’accoglienza” con migliaia di persone, contro il secondo “decreto sicurezza” di Salvini e il clima forcaiolo instaurato in città dalla giunta di destra.

“Questa è una città pronta a mobilitarsi su cose pratiche, senza grande clamore”, dice Margherita Motta, del circolo Arci Scuotivento. “Siamo riusciti a integrare in pochi anni circa duemilacinquecento persone, che qui hanno trovato lavoro” dice Matteo Casiraghi. Incontriamo gli animatori della rete “accogliente e solidale” una sera di maggio, in videoconferenza (una consuetudine nata con la pandemia). Raccontano anni di incontri nelle scuole e assemblee pubbliche sulla pace, le migrazioni, fino alle manifestazioni contro la guerra in Ucraina.

Secondo Antonio Chiodo, di Emergency, è questa mobilitazione dal basso che “ha messo in crisi la Lega: i suoi slogan roboanti si sono scontrati con la solidarietà diffusa della cittadinanza”. Del resto, i circa 15mila monzesi di origine straniera sono una popolazione piuttosto integrata. Ne sono un segno i gruppi di madri di scolari maghrebini presso la biblioteca del quartiere San Rocco. O la celebrazione della comunità bangladese per la fine del Ramadan nell’oratorio di una parrocchia del quartiere Cederna, storica zona operaia (deve il nome a un vecchio cotonificio).

“Una città grande e produttiva non può che integrare i nuovi arrivati”, dice Angela Mondellini: “Piuttosto, servono politiche sociali per favorire l’inserimento”. I problemi di Monza sono altri, dice la segretaria della camera del lavoro: “Vediamo una forte infiltrazione della criminalità organizzata”. “Metà dei nuclei di ’ndrangheta presenti in Lombardia sono a Monza e Brianza”, conferma Valerio D’Ippolito, dell’associazione Libera, citando i rapporti della Direzione investigativa antimafia (Dia). “Molti sottovalutano la sua presenza diffusa sul territorio”, continua D’Ippolito (la descrive in dettaglio l’Osservatorio sulla criminalità organizzata dell’università di Milano). “Con la crisi, molte piccole aziende si sono indebitate; ora sono vulnerabili”. Aumentano i reati di usura; ditte sull’orlo del fallimento passano di mano e diventano copertura di attività illegali. “Ma la risposta della città è inadeguata”, insiste D’Ippolito. Libera ha chiesto ai candidati sindaco di impegnarsi per la trasparenza negli appalti pubblici e nei finanziamenti ai candidati alle cariche comunali, o per valorizzare i beni sottratti alle mafie. Anche Cgil e Cisl chiedono “attenzione alla legalità” negli appalti. Il “territorio dinamico e produttivo” dunque non è al riparo dagli effetti della crisi. E la città?

Alle spalle della stazione centrale, il teatro Binario 7 appartiene al comune di Monza ed è la più importante istituzione culturale cittadina. Anzi, è quasi l’unica. Dieci anni fa Monza aveva sette sale cinematografiche; ne resta una. Una delle grandi librerie cittadine ha chiuso mestamente all’inizio di quest’anno. Invece gli eventi del centro sociale Foa Boccaccio sono sempre affollati, dalle serate di musica al mercato dei piccoli produttori artigiani: “Ma è perché non abbiamo concorrenza”, dicono i fondatori (che tengono a parlare collettivamente). Il Foa Boccaccio, nato nel 2003 in una ex fabbrica occupata, oggi ha sede in un grande spazio in via Timavo, in quella che era una periferia industriale, ed è una sorta di istituzione alternativa a Monza.

Un’idea di futuro

La giunta uscente non ha investito nulla per la cultura e gli spazi di aggregazione, dice Paolo Pilotto, candidato sindaco del centrosinistra. Preside di liceo, già assessore all’istruzione in una precedente giunta di centrosinistra, Pilotto è un volto noto a Monza. Lo incontriamo nella sede del Partito democratico che funge da quartier generale della sua campagna, accanto alla stazione. “Vogliamo ricostruire la relazione con i cittadini”, dice: dalle consulte di quartiere, che la giunta uscente ha reso marginali, al dialogo con le categorie produttive. Parla di sostenibilità, di trasporti e mobilità, di corridoi verdi, vie ciclabili e riqualificazione urbana. Uno dei suoi progetti è dare alla biblioteca comunale centrale una nuova sede, “che sia aperta fino a mezzanotte, con aule di studio e un centro multimediale”. Insiste: Monza “è una città viva”. La giunta uscente però “ha governato solo con le campagne securitarie e il cemento”.

Le campagne di legge e ordine suscitano qualche ironia: cani antidroga e retate nei giardinetti, con ragazzi fermati per un grammo di stupefacenti. Quanto al cemento, è onnipresente. Tra le vecchie case popolari sorgono palazzine residenziali dai profili pretenziosi, vetrate, terrazze. Nel quartiere San Fruttuoso ha suscitato proteste il progetto di costruire tre torri con appartamenti e uffici su una delle ultime aree verdi. In un libro bianco sulla città, un’agguerrita rete di comitati di quartiere denuncia un “insensato consumo di suolo”.

L’espansione edilizia sottintende anche un’idea di città. In via Val d’Ossola, oltre una zona industriale per lo più in abbandono, dove una volta c’era uno stabilimento tessile in riva al Lambro oggi c’è un gigantesco cantiere. Sei edifici sono quasi pronti, il progetto ne annuncia diciassette. Le brochures mostrano condomini signorili, quattro piani e attico, pannelli solari sui tetti, tra giardini, campo giochi, centro di fitness e supermercato interno: e tutto recintato. Una gated community, comunità chiusa da cancellate. Un addetto alle vendite spiega che molti appartamenti sono già stati comprati da giovani coppie in fuga da Milano, in cerca di spazio e verde a prezzi accessibili.

Monza diverrà un suburbio residenziale di Milano? Molti lo temono. “Monza ha una popolazione stabile da quarant’anni: costruire appartamenti fa solo l’interesse di immobiliaristi e speculatori”, commenta Giorgio Maioli, architetto e attivista dei comitati di quartiere. “La giunta di destra ha puntato tutto sulla turbo urbanistica”, commentano al centro sociale Foa Boccaccio: suona sarcastico, ma “turbo urbanistica” è il termine usato dal sindaco Allevi.

Davanti al terreno in disuso dell’ex mattatoio comunale, struttura storica che attende da quarant’anni un riuso, ecco l’ennesimo paradosso: il cemento dilaga eppure Monza è disseminata di aree industriali dismesse. Perfino edifici storici del centro sono in abbandono. Potrebbero diventare spazi recuperati per usi pubblici, per la cultura e la socialità? Dipende tutto dall’idea di città.

Questo è l’ultimo di una serie di articoli sulle città in cui si vota il 12 giugno. In precedenza sono uscite le puntate su Genova, Verona, Pistoia, Catanzaro, Riccione, L’Aquila e Palermo.

Da sapere
Così andò nel 2017

Alle amministrative del 2017 Dario Allevi, di Forza Italia, era stato eletto sindaco al ballottaggio con il 51,33 per cento dei voti, contro il 48,67 per cento dell’allora sindaco uscente, Roberto Scanagatti del Partito democratico. Con Allevi erano schierati Lega, Fratelli d’Italia e tre liste civiche; sul fronte opposto, il candidato del Pd era sostenuto da una lista della sinistra civica e ambientalista che ha preso il nome LabMonza. Sono più o meno gli stessi schieramenti che si scontrano oggi. Quello del 2017 però è stato il voto meno partecipato che si ricordi a Monza: meno del 52 per cento degli elettori ha votato al primo turno, appena il 45 per cento al ballottaggio (contro il 60 per cento delle precedenti comunali).


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