L’azienda La Stoppa, a Rivergaro, Piacenza. (Valentin Hennequin)

Alice Feiring, giornalista newyorchese e grande esperta di vino naturale, raccomanda ai suoi lettori di non limitarsi a bere vino in città, ma di andare per vigne. “Indossate scarpe e abiti adatti, prendete appuntamento e preparatevi a un luogo super essenziale, non certo a una grande sala di degustazione”. Seguiamo quindi il consiglio di Feiring, che peraltro non nasconde il suo amore per i vini naturali emiliani, e partiamo. Destinazione: val Trebbia, in provincia di Piacenza.

Il nostro viaggio però comincia a Parma, al Tabarro, l’enoteca di Diego Sorba, oste con il vizio della cultura che definisce il suo locale un “porto franco esistenziale”. L’idea di Sorba è che il vino naturale – cioè quello fatto con uve biologiche, fermentazione spontanea del mosto e senza aggiunta di altre sostanze, tranne piccole quantità di anidride solforosa – sia l’espressione non solo del territorio, ma anche dei suoi abitanti e delle loro storie.

“Dentro quel calice c’è una persona, una faccia, uno stare al mondo. La degustazione non è così importante, contano le storie, gli esseri umani”, dice Sorba. Comunque la si voglia vedere, il vino naturale nasce come una reazione alla viticoltura industriale e ha in qualche modo segnato una rottura nei confronti dell’omologazione del gusto.

Al netto di queste premesse, possiamo partire per il piacentino, nella zona di confine tra Piemonte, Liguria e oltrepò pavese dove – a parte il grande fiume – a fare un tutt’uno di queste terre è il barbera, un vitigno che arriva fin qui dal nordovest. I colli piacentini, quest’Emilia basso-lombarda, sono un territorio geologicamente e climaticamente unico. Qui ci vuole pazienza: la mancanza di azoto nel terreno fa sì che i vini necessitino di lunghi affinamenti. È in val Trebbia che Colombano, monaco irlandese con vocazioni europeiste ante litteram, scelse di stabilirsi nel 614 dC, precisamente a Bobbio, che sarà l’ultima tappa del nostro viaggio.

Imprenditoria radicale

Il giro parte da Rivergaro: non distante dal castello s’imbocca un lungo viale circondato dalle vigne e in fondo spunta La Stoppa, con la sua torre d’avvistamento. Qui Elena Pantaleoni, affiancata dal guru dei vini naturali Giulio Armani, è la responsabile della conversione dell’azienda e dell’inserimento di varietà autoctone di vitigni. Non solo, Pantaleoni è riuscita a fare rete, creando una vera comunità attorno alla produzione di vino naturale con un’idea d’imprenditoria che è allo stesso tempo radicale e lungimirante.

“Fare vino naturale come si faceva fino al dopoguerra è un atto politico, democratico, è decidere di lavorare con la natura e questo comporta dei rischi, dei ‘difetti’, vini sempre diversi da un’annata all’altra, ma la natura non è rassicurante, non si può controllare tutto. Il biologico industriale invece è una finta rassicurazione.

A lungo andare, lavorare in questo campo premia anche dal punto di vista economico, ma ci vuole tempo”. Pantaleoni, che nella sua vita precedente faceva la libraia, ti accoglie in un open space meticolosamente ordinato dove le imperfezioni, per la verità, sembrano non esistere. L’azienda si può visitare tutti i giorni, e il martedì, venerdì e sabato si può anche pranzare all’interno della splendida casa, gustando piatti semplici a base di verdure dell’orto e naturalmente vini sorprendenti come il sublime Ageno o l’avvolgente Macchiona.

A una quindicina di minuti di auto, verso Travo, c’è la casa di Shun Minowa, 37 anni, giapponese, espatriato in Italia cinque anni fa. Shun ha lavorato qualche tempo a La Stoppa per poi mettersi a fare il vino da solo (letteralmente: lui raccoglie, imbottiglia, etichetta, vende). Shun, laureato in biologia, spiega che è stato attratto da questa valle come accadde a san Colombano 1.400 anni fa: “Non so perché, ma la val Trebbia ha qualcosa di speciale. Questa sensazione mistica, spirituale, che sento qui, non l’ho sentita da altre parti. Se pensi a una montagna come la pietra Parcellara capisci cosa intendo”.

Il “silent wine” di Shun ha nomi e simboli orientali e sapori emiliani e carismatici. I vitigni sono autoctoni, l’Ortrugo mescolato alla Malvasia di Candia. La filosofia che sta dietro i suoi vini è in fondo la stessa del suo conterraneo Masanobu Fukuoka, pioniere dell’agricoltura naturale detta anche del “non fare” che applicava la filosofia buddista alla coltivazione. Del resto Shun ha chiamato il suo vino Gate, che è una parola del Sutra del cuore, antico testo zen che dice: “La forma è vuoto, il vuoto è forma”.

Un vero oste

Dalla letteratura buddista ci spostiamo alle pendici della valle, a Gariga, verso Podenzano, ed entriamo in un’immensa corte rurale che ricorda il film Novecento di Bernardo Bertolucci. Il viaggio in val Trebbia vale anche solo per assaggiare la bomba di riso con il piccione e lo storione dell’Ostreria Fratelli Pavesi. Ma vale la pena anche per la sua incredibile scelta di vini naturali, italiani ed europei, e per chiacchierare con Giacomo Pavesi. Miglior oste d’Italia nel 2019 per la guida di Slow Food e contagiosamente simpatico, Pavesi con la sua erre piacentina è un vero oste, di quelli che raccontano i piatti con ironia e precisione, senza prendersi mai troppo sul serio.

Da una corte si passa a un’aia, quella dell’agriturismo e azienda vitivinicola Il poggio di Andrea Cervini, a Statto. Anche Cervini ha seguito le orme e la consulenza di Giulio Armani e ha trasformato l’azienda di famiglia. Una stanza a 30 euro a notte e una colazione a base di tè giapponese e torte fatte in casa. Il vino di Cervini si riconosce perché sull’etichetta c’è il disegno di un elefante. È quello di Annibale, che qui nel 218 aC vinse contro i romani nella famosa battaglia della Trebbia. Andrea, con la sua aria da “marinaio di foresta”, produce vini che rispecchiano la sua idea di vita e di viticoltura. Le figlie, Carolina e Elisa, giovani ma già bravissime a cucinare piatti della tradizione come pisarei e fasò (gnocchetti con fagioli) e gli anolini in brodo di terza, sono timide e gentili. E pronunciano tutto con l’immancabile erre arrotata di queste parti.

Per viaggiare in val Trebbia alla ricerca di vini naturali non c’è bisogno di una guida: la particolarità di questo distretto è che i vignaioli hanno fatto talmente squadra da creare una vera comunità. “C’è un rarissimo spirito di sinergia”, dice Gae Saccoccio, filosofo del vino e oste della Rimessa Roscioli di Roma. “Questi vignaioli respirano quasi all’unisono, si scambiano aiuti agricoli e commerciali, condividono importatori esteri e soprattutto fanno fede a un sentimento pratico di comunità”.

Dal Poggio si parte infine per Bobbio, in alta val Trebbia, terra natale del regista Marco Bellocchio e fin dal medioevo centro culturale e sede della più grande biblioteca d’Europa. Non stupisce che Colombano abbia scelto la val Trebbia come luogo per passare l’ultima parte della sua vita. L’atmosfera è nordica e malinconica, il ponte Gobbo, chiamato così per il profilo irregolare, è stato più volte ricostruito, ma mantiene comunque un’atmosfera fiabesca. Da visitare è l’abbazia di San Colombano, soprattutto per i mosaici romanici ritrovati in un restauro dei primi del novecento.

L’Ostello comunale, all’interno di palazzo Tamburelli, è elegante ed economico: soffitti affrescati e letti a castello. Siamo in sintonia con l’esempio che Saccoccio cita quando vuole spiegare la filosofia del vino naturale: Democrito, il filosofo greco di cui ci resta solo qualche frammento, sosteneva che la vera felicità equivale alla tranquillità. Al non fare. Dal Giappone all’antica Grecia, dall’Irlanda alla Val Trebbia, l’umanità è ancora qui.

Info
Bere, mangiare, dormire

Tabarro Enoteca
tabarro.net

La Stoppa Azienda vitivinicola e ristorante
lastoppa.it

Shun Minowa Cantina e vigneto
minowash@gmail.com

Il Poggio Agriturismo e vigneto
poggioagriturismo.com

Distina Distilleria e cantina
distina.it

Ostreria Fratelli Pavese Ristorante e bottega
ostreria.it

Ostello Comunale Albergo
cultura.bobbio@sintranet.it


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