Cultura Suoni
The nearer the fountain, more pure the stream flows
Damon Albarn (Linda Brownlee)

Ispirato dai panorami contemplati dalla sua casa in Islanda, il secondo album solista di Damon Albarn è una pittura di paesaggi attraverso il suono. Nato prima del lockdown da un incontro con un ensemble di musica classica, il progetto all’inizio doveva raccogliere una serie di schizzi orchestrali ispirati dalle montagne, le sabbie nere e gli uccelli acquatici dell’isola. Poi è diventato un disco. The nearer the fountain, more pure the stream flows mescola queste registrazioni con suoni ambientali, ritmi pop e testi che esplorano i temi della perdita e della rigenerazione, creando un’interessante miscela di ecopoesia e meditazioni sul dolore. Anche se non parla di cambiamento climatico, Albarn cattura la maestosità del mondo naturale con tenerezza, e un senso di fine incombente percorre tutti i brani. I testi riflettono su epoche ormai lontane e sui propri amici perduti (come il batterista Tony Allen, morto nel 2020). Un’immagine toccante in The cormorant descrive una nave da crociera che ospita l’ultima festa alla fine del mondo. Questo album cerca conforto nella terra.

Becca Inglis, The Skinny

Things take time, take time
Courtney Barnett (Mia Mala McDonald)

Courtney Barnett non è proprio la voce della sua generazione. A 33 anni, ha solo alcune delle caratteristiche che definiscono i millennial, come il bisogno di giustizia sociale, le dipendenze tecnologiche e l’esplorazione di nuove identità etniche e di genere. Tuttavia nel suo terzo album la cantautrice australiana cattura profondamente qualcosa del modo in cui lei e i suoi contemporanei si relazionano l’uno con l’altro. Le canzoni, dolci e aperte, danno voce non solo alle ansie sociali di una generazione ma propongono anche una via empatica per confrontarsi. Things take time, take time realizza gli istinti melodici di Barnett e i temi che ha esplorato in passato. Le dieci canzoni contengono tutta la solitudine che ha provato mentre le scriveva, in lockdown a Melbourne. Così, invece della solita band che la accompagna in tour, al suo fianco c’è solo Stella Mozgawa, batterista delle Warpaint; il risultato è intimo e accogliente, con molti pezzi che si reggono su semplici basi di drum machine. Ma non è un album triste, anzi è la cosa più gioiosa che Barnett abbia scritto, perché rivela la sua perseveranza nel restare in contatto con il mondo invece di allontanarsene. Se Bob Dylan aveva il polso della sua generazione, Courtney Barnett mette una mano sulla spalla della sua.

Jeremy Winograd,Slant Magazine

Voyage

La strana seconda vita degli Abba ha preso un’altra piega. Il perenne successo della raccolta Abba gold e la serie di film Mamma mia! hanno introdotto alla loro musica diverse generazioni. Ora è il turno del progetto discografico e di concerti Voyage. Questo è un disco pop divertente di dieci brani, che rispolvera l’immaginario che gli Abba hanno inventato. Al suo meglio – per esempio nel singolo di apertura I still have faith in you – si avvicina ai picchi di tanti anni fa. Tuttavia l’album è confuso. When you danced with me ha una cadenza celtica surreale, mentre la disco stentata di Keep an eye on Dan non riesce mai a decollare. Alla base c’è un problema evidente di scrittura. Il fallimento di questo disco ricorda quello dei Beatles quando registrarono gli inediti di Anthology. Poteva Free as a bird competere con A day in the life? Ovviamente no, ma è stato giusto provarci.

Robin Murray, Clash

Bartók: Il mandarino meraviglioso; canzoni paesane ungheresi; suite n. 2

Ascoltando l’agghiacciante “pantomima grottesca” di Bartók nella sua versione integrale in un’esecuzione di questo livello, ci si chiede perché ci sia chi preferisce ancora presentarne solo la suite da concerto. Certo, c’è una piccola questione organizzativa ed economica da risolvere: serve un coro. Ma l’apoteosi del pezzo e la sua musica più straordinaria arrivano proprio con il coro finale, vietatissimo ai minori di 18 anni. Thomas Dausgaard e la sua orchestra s’immergono con entusiasmo nei suoi colori sconvenienti con glissandi di trombone e il suo esotismo tutto scale pentatoniche. C’è qualcosa d’ironico nel fatto che la musica più formale dell’opera, una fuga, sia usata in un contesto così violento. Questo disco è il secondo della serie dedicata a Bartók da Dausgaard, che controlla il fuoco celtico della formazione scozzese con risultati strepitosi. Ne vogliamo ancora.

Edward Seckerson, Gramophone

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1435 - 12 novembre 2021

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