Cultura Suoni
Everything but the Girl (Edward Bishop)

Gli Everything but the Girl tornano dopo 24 anni e per molti versi è come se non fossero mai andati via: il suono di Fuse ricorda il loro arrivo nel mondo dei club degli anni novanta, quando il breakbeat s’infiltrò nella sognante elettronica indie. Ma qui c’è una differenza cruciale, ed è Tracey Thorn. Parlando di Temperamental (1999) lei ha scritto che “in un certo senso ero la cantante ospite nell’album di qualcun altro”. In Fuse non è così. Il sobrio pianoforte di Ben Watt e i synth tesi e carichi d’ansia fanno un passo indietro e lasciano Thorn in primo piano. E lei è più che all’altezza del compito: ora ha una voce più piena, profonda, arricchita dall’esperienza e perfettamente adatta a queste canzoni sulla ricerca della luce nell’oscurità. “Dammi qualcosa a cui posso aggrapparmi per sempre”, supplica in Forever. “Non essere così duro con te stesso, fatti un’altra sigaretta”, consiglia decisa in When you mess up. Ma è il ritornello di Nothing left to lose – “Baciami mentre il mondo va in rovina” – che racchiude nel modo migliore il disco. C’è una presa di coscienza che per far passare la fatica – quella che forse arriva con l’età, o forse è un sintomo dello zeitgeist di oggi – servono l’amore e il dolce abbandono nella danza.
Becca Inglis, The Skinny

Blondshell
Blondshell (Dominique Falcone)

Fantasticare sulla vendetta nei confronti di un ex va molto di moda e sembra faccia anche bene alle vendite. Ma Salad, un pezzo di questo debutto di Sabrina Teitelbaum come Blondshell, alza l’asticella ponendosi tra la rabbia dei Cranberries e situazioni più oscure alla Depeche Mode. Quello che immagina è di uccidere l’uomo che ha fatto del male alla sua amica: è il momento più esplicitamente furioso di tutto il disco, che altrove tratta la rabbia in maniera più sottile e sfumata, per riflettere sulle dinamiche complesse che possono spingere le donne a tollerare i maltrattamenti. Se nella sua vita artistica precedente, quando si firmava Baum, la giovane cantautrice di Los Angeles scriveva slogan alt-pop alienati e femministi che sembravano già sentiti, con la disintossicazione e il lockdown della pandemia ha trovato ispirazione nelle Hole e in PJ Harvey, e l’ha incanalata in un’opera di formazione infuocata ma anche lucida e divertente. Una costante è il desiderio distruttivo di sentire qualcosa, che arrivi dalle droghe, dal sesso o da conferme ingannevoli: “Sono innamorata di un sentimento, non di qualcuno o qualcosa”, canta in Tarmac. Blondshell riesce a trasformare questo desiderio in un rock melodico che getta un po’ di aria fresca sulle influenze degli anni novanta.
Laura Snapes, The Guardian

Offenbach: opera completa per due violoncelli

Se non siete studenti di violoncello probabilmente non sapete che Jacques Offen­bach, famoso per le sue operette, compose anche molti duo per questo strumento. Il compositore tedesco naturalizzato francese era lui stesso un violoncellista, quindi la sua gestione dello strumento è sempre idiomatica e, prevedibilmente, ricchissima di melodie. Si potrebbe pensare che dopo aver ascoltato uno dopo l’altro duetti di tre movimenti, con tutti i ritornelli, si provi un senso di stanchezza o di monotonia. Eppure l’uso attento dei registri e l’accurata divisione di melodia e accompagnamento tra i due strumenti riescono sempre a mantenere alta l’attenzione di chi ascolta. Merito anche dell’intonazione impeccabile, dell’unanimità d’insieme e del fraseggio intelligentemente sfumato dei violoncellisti Giovanni Sollima e Andrea Noferini. Un buon esempio è il discreto vibrato del tema con variazioni dell’op. 19 n. 2. Anche i passaggi tecnicamente più ardui non sono mai un problema per i due musicisti. Forse molti penseranno che quasi otto ore di musica per due violoncelli di Offen­bach sono un po’ troppe. Ma questo album della Brilliant Classics è veramente consigliato a tutti gli studenti e gli insegnanti di violoncello e, inutile dirlo, ai fanatici di questo strumento.
Jed Distler, ClassicsToday

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1509 - 28 aprile 2023

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