La prolifica scrittrice statunitense Joyce Carol Oates continua, anche ottantenne, a sfornare libri, il più recente dei quali è l’inquietante Macellaio. Autrice di una cinquantina di romanzi, tra cui Blonde (Bompiani), un racconto di fantasia basato sulla vita di Marilyn Monroe, Oates ha spesso tratto spunto da personaggi ed eventi storici. In Macellaio attinge ai documenti autentici di medici dell’ottocento per descrivere orribili esperimenti che erano la norma in quel periodo. Il romanzo racconta la storia del dottor Silas Aloysius Weir, attraverso il figlio maggiore e i suoi diari tenuti durante i 35 anni in cui era stato direttore del New Jersey state asylum for female lunatics, un manicomio femminile. Weir, che passò alla storia come il “padre della ginecologia”, pratica esperimenti grotteschi su donne emarginate, nella maggior parte dei casi dichiarate pazze e rinchiuse nell’istituto. In un’epoca in cui si credeva che le emozioni di una donna provenissero dagli organi genitali e quelle di un uomo dal cervello, Weir esegue una clitoridectomia su un’adolescente che poi si suicida e sterilizza donne che considera inclini a “comportamenti immorali e criminali”. Basandosi su alcuni temi dei libri precedenti dell’autrice, come l’abuso sessuale e la sete di potere, Macellaio esplora soprattutto il tema del controllo che ragazze e donne hanno – o non hanno – sui propri corpi nel mezzo degli attuali dibattiti politici sui diritti riproduttivi.
Anita Snow,Toronto Star
Il protagonista del Progetto Lazarus, proprio come il suo autore, è cresciuto a Sarajevo, è arrivato a Chicago in viaggio ed è stato costretto a rimanere negli Stati Uniti quando è scoppiata la guerra nella ex Jugoslavia. E tuttavia, mentre il nuovo romanzo è in qualche modo una continuazione della visione di Hemon del mondo frammentato e distorto di un immigrato, il suo narratore, Vladimir Brik, si allontana anche dai giovani ironici ma ingenui dei suoi libri precedenti. Questo è un romanzo maturo su un uomo adulto che assapora le sfumature della delusione e del fallimento. Brik è sposato con un’affermata neurochirurga americana; lui, dal canto suo, lotta con “un permanente stato di confusione”. Vive un acuto senso di perdita della sua patria e, quindi, della sua identità, e viene colpito dalla storia di un altro immigrato: Lazarus Averbuch, un giovane ebreo fuggito dal pogrom di Chișinău del 1903, oggi in Moldova, che, come lui, giunse a Chicago. Averbuch è una figura realmente esistita. Si sa che arrivò a casa del capo della polizia di Chicago il 2 marzo 1908; ci fu una specie di colluttazione e il giovane finì ucciso. Chicago sprofondava in uno stato di isteria xenofoba e i parallelismi con le conseguenze dell’11 settembre 2001 sono chiari mentre Hemon alterna la storia di Lazarus con il tentativo di Brik di raccontarla. Alla fine di questo romanzo crudo e inquietante, Brik si rende conto che, essendo anche lui una sorta di Lazarus, deve scrivere la sua stessa storia.
Cathleen Schine, The New York Times
I personaggi di Felici tutti i giorni, romanzo del 1978 di Laurie Colwin, trascorrono una sorprendente quantità di tempo a essere infelici. “Non si era mai sentito così infelice in vita sua”, scrive Colwin di Vincent Cardworthy mentre cerca di invitare Misty Berkowitz a bere qualcosa. Misty risponde con un secco “Non bevo”. Quando lui le chiede se ha altri programmi, lei dice “No”. Il problema di Vincent, ovviamente, è che è innamorato. Fortunatamente per lui, nel mondo di Colwin la breve tortura dell’innamoramento è solo il preludio alla gioia di trovare un amore corrisposto per tutta la vita. Quando Misty dice di sì, alla fine andrà a cena con lui, Vincent sente “un sollievo che gli inonda i muscoli come fa la morfina”. Ciò non significa che il romanzo sia privo di conflittualità. Perfino sulla soglia del matrimonio, un personaggio arranca su Central Park west, sentendosi come se le quattro camere del suo cuore fossero “piene di amore, paura, confusione e certezza”. Come in una barzelletta, aspettiamo sempre la battuta finale: le bollicine di champagne della felicità che Colwin continua a regalare ai suoi personaggi. Il libro è una commedia e la sua promessa è che quelle battute finali continueranno ad arrivare, che la vita a volte può renderti infelice, ma è possibile superare quei pericoli e rimanere ottimisti.
Dan Kois,The Washington Post
Una lieve vertigine è un romanzo di 27 anni fa molto radicato nella Tokyo borghese ma riesce a sembrare attuale e universale proprio per come descrive la seduzione quotidiana e la conseguente disperazione di una vita che oscilla tra consumismo e lavori domestici. Il romanzo non trae la sua forza dall’argomento in sé, ma dalla sorprendente capacità di Kanai di scrivere una quieta storia di orrore domestico. Una lieve vertigine si apre con la protagonista, una mamma casalinga di nome Natsumi, ossessionata da come organizzare l’appartamento che lei e suo marito hanno appena comprato. Kanai descrive ogni decisione di Natsumi usando un profluvio di frasi, inframmezzate da virgole con pochissimi punti. L’effetto è spesso ipnotico ma a differenza di molti romanzi che usano il flusso di coscienza, questo non vuole spingere i lettori in profondità nella testa della protagonista. Piuttosto, Kanai svela quanto sia opprimente affrontare la vita domestica come fa Natsumi che finisce annientata dalla sua routine.
Lily Meyer, The Atlantic
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