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Come funziona lo spazio Schengen

L’aeroporto internazionale di Zaventem, vicino a Bruxelles, Belgio, il 27 luglio 2018. (François Lenoir, Reuters/Contrasto)

Questo articolo fa parte di una serie realizzata da Internazionale per spiegare come funzionano le istituzioni dell’Unione europea, in vista delle elezioni del 26 maggio 2019.

Lo spazio Schengen è un’area di libera circolazione tra paesi europei che hanno abolito i controlli alle frontiere. È uno dei risultati più importanti raggiunti dall’Unione europea, perché garantisce uno dei diritti fondamentali dei suoi cittadini: quello di spostarsi, vivere e lavorare in tutti i paesi che ne fanno parte. Oggi l’area Schengen comprende 26 paesi: 22 membri dell’Unione e quattro esterni (Islanda, Liech­tenstein, Norvegia e Svizzera). L’Irlanda e il Regno Unito non hanno aderito alla convezione esercitando una clausola di esclusione, il cosiddetto opt-out, mentre in Bulgaria, Cipro, Croazia e Romania il trattato non è ancora entrato in vigore. I paesi che entrano a far parte dello spazio Schengen assumono la responsabilità di sorvegliare le eventuali frontiere esterne sul loro territorio per conto degli altri stati dell’area e devono rispettare le regole condivise sulla concessione dei visti. Inoltre devono partecipare al Sistema d’informazione Schengen, una banca dati che contiene informazioni su persone e beni legati ad attività criminali.

Storia

Il nome della convenzione che garantisce la libertà di circolazione deriva dalla cittadina lussemburghese di Schengen, dove nel 1985 i governi di Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi hanno raggiunto il primo accordo per l’eliminazione dei controlli alle frontiere. Il documento fu firmato su una barca ancorata in mezzo al fiume Mosella, vicino al punto dove i confini di Francia, Germania e Lussemburgo si toccano. Nel 1990 l’accordo è stato seguito da una Convenzione di attuazione ed è entrato in vigore nel 1995. L’adesione degli altri paesi dell’Unione è stata sancita in ulteriori accordi. L’Italia ha aderito nel 1990. Nel 1999, con l’entrata in vigore del trattato di Amsterdam, le norme previste dagli accordi sono state integrate nel diritto dell’Unione europea.

Requisiti

Tutti i paesi dell’Unione europea sono tenuti ad aderire alla convenzione di Schengen, ma prima di essere ammessi devono superare la valutazione delle autorità europee sui requisiti tecnici e sulla cooperazione giudiziaria. L’adesione di Romania e Bulgaria è stata più volte rimandata perché secondo alcuni paesi europei Bucarest e Sofia non rispettano questi requisiti. L’Ungheria e la Slovenia hanno minacciato di porre il veto sull’adesione della Croazia, rispettivamente per la polemica sulla gestione dei migranti e per una disputa di confine. L’adesione di Cipro è bloccata dallo stallo del processo di riunificazione con l’autoproclamata repubblica turca di Cipro nord.

I visti Schengen

Ogni paese membro può rilasciare un visto valido per tutta l’area Schengen per un periodo di tre mesi, rispettando le regole e le procedure previste dalla convenzione. Oggi i cittadini di 57 paesi (tra cui quasi tutti i paesi del Nord e del Sudamerica, i paesi della ex Jugoslavia, l’Ucraina, la Georgia, Israele, il Giappone, la Corea del Sud, l’Australia e la Nuova Zelanda) possono entrare nell’area Schengen e restarvi per tre mesi senza visto. Dal 1 gennaio del 2021 però entrerà in vigore il Sistema europeo d’informazione e autorizzazione ai viaggi (Etias), simile al sistema Esta già in uso negli Stati Uniti. I cittadini dei paesi esenti da visto dovranno richiedere un’autorizzazione a pagamento, che potrà essere negata in caso di minacce alla sicurezza o possibilità d’immigrazione irregolare.

Le sospensioni

All’interno dello spazio Schengen chiunque può attraversare i confini interni senza essere sottoposto a controlli di frontiera. Le autorità possono procedere a controlli di polizia, ma solo caso per caso e sulla base di elementi concreti. In presenza di minacce alla pubblica sicurezza, un paese può reintrodurre in via eccezionale i controlli alle frontiere, per un periodo che non dovrebbe superare i trenta giorni. Nel 2011, dopo la rivoluzione in Tunisia, il governo italiano ha rilasciato un visto a circa 25mila cittadini tunisini arrivati sul suo territorio per permettergli di raggiungere la Francia. Le autorità francesi hanno risposto chiudendo la frontiera a Ventimiglia e respingendo i migranti verso l’Italia. Su richiesta della Francia, nel giugno del 2012 il consiglio europeo ha stabilito che i confini possono essere ristabiliti per un periodo non superiore a un anno “quando il controllo di una frontiera esterna non è più garantito a causa di circostanze eccezionali”. A partire dal 2015, in risposta alla cosiddetta “crisi dei migranti”, Austria, Germania, Svezia, Norvegia e Danimarca hanno approfittato di questa clausola per reintrodurre controlli parziali o totali alle loro frontiere. A novembre del 2015, dopo la strage nella redazione di Charlie Hebdo a Parigi, anche la Francia ha reintrodotto i controlli a tutte le sue frontiere fino al 30 aprile 2019.

Questo articolo fa parte di una serie realizzata da Internazionale per spiegare come funzionano le istituzioni dell’Unione europea, in vista delle elezioni del 26 maggio 2019.

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