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Perché le donne non parlano di soldi

Una manifestazione femminista a Milano, 7 marzo 2019. (Emanuele Cremaschi, Getty Images)

“Ho dovuto imparare a organizzare i soldi in modo pratico, senza lasciarmi guidare solo dall’istinto o dalle emozioni”, afferma Chiara (i nomi delle ragazze sono stati modificati per tutelarne l’identità). Ha 18 anni, frequenta un istituto turistico e ha seguito un corso di educazione finanziaria in un percorso per le competenze trasversali e l’orientamento (Pcto), l’ex programma di alternanza scuola-lavoro. Emma invece frequenta il liceo classico e ha 17 anni. Anche lei ha scelto di partecipare a un progetto di educazione finanziaria. “È stato molto interessante potermi confrontare con altre ragazze della mia età su questi temi, prima non mi era mai capitato”.

I progetti seguiti da Emma e Chiara sono diversi. Il primo è un corso per le scuole organizzato da Rame, una rete che promuove il benessere economico. Il secondo è organizzato dall’Università Milano-Bicocca e si chiama Effe summer camp. La loro scelta testimonia che questo tema è diventato sempre più importante per le ragazze. “Materie come economia e diritto andrebbero studiate in tutte le scuole perché alla fine sono utili poi per tutta la vita. Il corso mi ha dato strumenti più concreti come pianificare le spese e mettere da parte piccole cifre in maniera regolare”, aggiunge Emma.

Entrata in vigore nel 2024, la cosiddetta “legge capitali” prevede che l’educazione finanziaria sia inserita nei programmi scolastici e nelle ore di educazione civica. Stando al primo rapporto del comitato Edufin, che ha coinvolto circa duemila istituti, più di due terzi delle scuole superiori italiane hanno avviato percorsi di questo tipo.

Molti dei progetti attivi sono organizzati dalle banche, come Unicredit, Banca d’Italia e Banca Etica. Secondo la legge l’insegnamento dell’educazione finanziaria è affidato ai docenti già in servizio negli istituti scolastici ma non tutti sono formati in maniera adeguata.

Per questo “molti si affidano a progetti esterni, come il nostro”, spiega Annalisa Monfreda, esperta di comunicazione e fondatrice di Rame. “La vera rivoluzione sarebbe formare i docenti, perché poi loro trasmettano queste conoscenze in modo indipendente dalle banche. Quello che facciamo è portare nelle scuole un discorso consapevole sul denaro”.

Un divario che viene da lontano

“Dopo il corso ho cominciato a parlare di soldi con più naturalezza”, racconta Chiara. “Tra amici ora discutiamo spesso di come risparmiare per raggiungere obiettivi concreti, come viaggi, uscite o progetti personali”. Le ragazze parlano di denaro meno dei loro coetanei maschi, sostiene uno studio pubblicato nel 2025 dalla Oxford University Press.

Già dall’età di quindici anni non considerano gli argomenti economici molto importanti per socializzare, spiega Emanuela Rinaldi, docente di all’università Milano-Bicocca che ha curato Donne contanti un libro di educazione finanziaria, distribuito gratuitamente. “Mentre i ragazzi parlano di finanza, magari anche di investimenti, criptovalute, azioni, per le ragazze questo succede meno e nel lungo periodo può tradursi in una serie di abitudini finanziarie svantaggiose”.

L’attacco delle destre alle donne che lavorano
Dopo l’aborto e la denatalità, la presenza delle donne nei posti di lavoro è diventata il nuovo obiettivo dei conservatori e delle loro teorie del complotto.

Anche da adulte, le donne mostrano minore interesse per le materie economiche, come indica l’Edufin Index 2025. Tra uomini e donne inoltre si registra una distanza nella conoscenza delle dinamiche finanziarie.

“Un divario che ha un impatto sul senso di competenza soggettiva, cioè su quanto le persone pensano di sapere”, spiega Edoardo Lozza, docente all’università Cattolica esperto in psicologia del denaro. “Anche in un campione composto esclusivamente da persone laureate in economia o in discipline economico-finanziarie, che in termini oggettivi hanno le stesse conoscenze, il divario soggettivo tra uomini e donne rimane costante. I laureati in economia cioè tendono a percepirsi come più competenti delle laureate”.

Il divario delle conoscenze e il senso di inadeguatezza hanno entrambi radici culturali. “E questo”, continua Lozza, “si vede fin dalle cose che nell’infanzia si imparano sul denaro. È probabile che i genitori parlino di questioni finanziarie più con i figli maschi che con le femmine, e lo stesso avviene con la paghetta”.

Violenza economica ed educazione finanziaria

La violenza economica è una forma di abuso in cui il controllo delle risorse economiche è usato come mezzo per esercitare potere e controllo all’interno di una relazione. Ne esistono almeno cinque forme: il controllo del reddito, la privazione o la limitazione dell’accesso alle risorse finanziarie, l’indebitamento forzato, il sabotaggio di azioni e decisioni economiche indipendenti fino all’esclusione da decisioni finanziarie che riguardano la vita economica di entrambi i partner.

Secondo il rapporto “Ciò che è tuo è mio” pubblicato da We World (2023), in Italia un terzo delle donne che si rivolgono ai centri antiviolenza ha subito violenza economica, anche dopo la separazione o il divorzio. Il 61 per cento delle donne separate dice che la sua situazione economica è peggiorata dopo la fine della relazione. “Sono arrivata alla separazione con una buona dose di consapevolezza”, racconta Sandra, “nel senso che sapevo di subire violenza”.

Sandra è una donna sulla cinquantina, è separata ed è stata vittima di violenza economica. “Il mio ex marito nel corso degli anni ha continuato a esercitare questa violenza sia estorcendomi denaro sia attraverso tutta una serie di cause legali che avviava una dopo l’altra sapendo di indebolirmi a livello economico e psicologico. Mi sono messa allora a cercare diverse fonti in particolare sulla violenza economica”. È così che Sandra ha partecipato al corso Donne in attivo, un progetto di educazione finanziaria gratuita per adulte realizzato dal ministero delle imprese e del made in Italy in collaborazione con l’università degli studi di Milano-Bicocca.

Istruzione, competenze e status lavorativo sono alcuni dei fattori che aiutano a proteggersi dalla violenza economica. Ma non sono la garanzia di esserne al riparo. “In realtà ogni volta che si parla di educazione finanziaria si rischia di far passare l’idea che se ti educhi allora andrà bene. Ma non per forza, perché c’è un sistema che ti impoverisce”, chiarisce Annalisa Monfreda. “L’educazione è uno dei tanti strumenti di autodeterminazione che abbiamo, ma non può essere responsabilità esclusiva delle donne risolvere un problema della società. Il fatto che noi donne abbiamo meno conoscenze in campo finanziario è solo l’ennesima conseguenza dell’esclusione femminile dalla materia economica”.

Dal 1975, con la riforma del diritto di famiglia, le donne possono avere un conto corrente. A possederlo oggi è solo il 37 per cento di loro. “Non siamo più povere perché non parliamo di soldi”, aggiunge Monfreda, “ma siamo più povere e parliamo meno di soldi perché siamo state escluse da questi discorsi”.

Uscire dagli stereotipi

“Nel contesto in cui sono cresciuta una donna non era ritenuta capace di gestire il denaro”, racconta Sandra. “Questo stereotipo già presente nella mia famiglia si è rafforzato nel mio matrimonio”.

“Abbiamo bisogno di superare gli stereotipi per avere un’analisi più reale del fenomeno della violenza economica, non possiamo pensare che riguardi solo un certo gruppo di donne”, spiega Cristina Carelli, presidente della rete Donne in rete contro la violenza (Dire) e coordinatrice del centro antiviolenza Cadmi di Milano.

La violenza economica infatti può colpire le donne in diverse fasi della loro vita, rafforzando le disuguaglianze di genere. Oltre al divario nelle competenze finanziarie che si imparano durante l’adolescenza, in età lavorativa le donne soffrono discriminazioni come il divario salariale sulla base del genere, accentuato dalla maternità. Infine nella terza età c’è il rischio di dipendenza economica dalla famiglia e di abuso finanziario. La disparità negli stipendi si ripercuote anche sulle pensioni, e con l’allungamento della vita pensare a una gestione attiva e consapevole del denaro è difficile, specie se non si è state educate a farlo.

“Il minor interesse delle ragazze per i soldi è indice proprio di un aspetto culturale: le ragazze sono educate cercando di trasmettere un’idea di femminilità che diventa un’identità il cui unico orizzonte sono le relazioni e la cura”, spiega Carelli. “La conoscenza degli strumenti che si hanno a disposizione è molto migliorata, oggi le donne sono più consapevoli e più capaci anche di gestire il denaro. Quello che ancora va fatto è proprio un’educazione su questi temi a partire dall’infanzia”.

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