×

Fornisci il consenso ai cookie

Internazionale usa i cookie per mostrare alcuni contenuti esterni e proporti pubblicità in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di più o negare il consenso, consulta questa pagina.

In fuga uno degli attentatori di Bruxelles

Tre attentatori sono stati identificati. Ibrahim el Bakraoui e Najim Laachraoui si sono fatti esplodere all’aeroporto di Zaventem. Khalid el Bakraoui, fratello di Ibrahim, si è fatto esplodere nella stazione della metropolitana Maelbeek. Un quarto terrorista presente all’aeroporto di Bruxelles, non ancora identificato, è in fuga. Negli attentati del 22 marzo sono morte 31 persone, i feriti sono 270.

Altri 26 aggiornamenti

I dibattiti sbagliati sugli attentati di Bruxelles

Soldati belgi pattugliano il quartiere dove si trova la sede della Commissione europea a Bruxelles, il 22 marzo 2016. (Vincent Kessler, Reuters/Contrasto)

Chiedo scusa a tanti commentatori e specialisti sul tema dell’integrazione, ma non è il momento di impegnarsi in dibattiti fuori luogo. Il terrorismo che ha colpito il Belgio, e prima ancora la Francia, continuerà a colpire, ma questo non è un problema europeo.

Le radici del problema non devono essere cercate nelle dinamiche dell’integrazione e negli errori che i nostri paesi hanno commesso nei confronti dei figli degli immigrati musulmani. Abbiamo sbagliato a creare dei ghetti e ad abbandonare i giovani ai predicatori dell’odio. Da questa imperdonabile cecità è scaturito questo piccolo (ma molto pericoloso) gruppo di giovani scontenti, che cercano la loro ragione di vita in una versione distorta dell’islam. Tuttavia questi ghetti non sono la causa del terrorismo, quanto piuttosto il suo vivaio.

Il problema non è europeo, ma mediorientale. Se non fossero state annullate le frontiere tra Iraq e Siria, se il gruppo Stato islamico (Is) non volesse creare uno stato sunnita a cavallo tra i due paesi e non ci intimasse, a colpi di attentati, di non ostacolare il suo progetto, non saremmo costretti ad affrontare il terrorismo, ma un problema di criminalità diffusa in una particolare comunità, come ce ne sono tanti.

Quindi non è il caso di perdere tempo a cercare le origini del terrorismo nel Corano. È più urgente affrontare il male alla radice, in Medio Oriente e in particolare in Siria.

Non cedere al ricatto

Nel comunicato con cui ha rivendicato gli attentati di Bruxelles, l’Is afferma, nero su bianco, che il suo obiettivo era rispondere ai bombardamenti della coalizione di cui fa parte anche la Francia.

In questo caso le possibili soluzioni sono due. La prima sarebbe cedere al ricatto e convincerci che non ci importa se queste persone vogliono creare un nuovo stato sunnita sulle macerie del Medio Oriente. Un attentato dopo l’altro, la tentazione di seguire questa strada sarà sempre più forte in Europa. Tuttavia sarebbe una scelta suicida perché, se avessero la meglio, i jihadisti diventerebbero ancora più ambiziosi e passerebbero alla seconda fase: la creazione di un califfato sunnita in tutto il mondo arabo che inevitabilmente (come si evince dalla situazione in Libia) destabilizzerebbe il Maghreb e l’Africa subsahariana, portando la guerra alle nostre frontiere.

Se la Siria diventerà uno stato federale i jihadisti non potranno più presentarsi come i difensori dei sunniti

La seconda opzione, la migliore, sarebbe privare l’Is della sua base economica favorendo una divisione della Siria e la sua trasformazione in uno stato federale dove la maggioranza sunnita e le minoranze alawita, cristiana e curda avrebbero la possibilità di governarsi in autonomia. Non solo questo sarebbe l’unico modo di mettere fine alla guerra, ma il giorno in cui ci arriveremo l’Is non potrà più presentarsi come il bastione dei sunniti e perderà la partita.

Piuttosto che impantanarsi in discussioni sull’integrazione, sulla questione della nazionalità e sulle misure di sicurezza aeroportuali, è a questo obiettivo che dovrebbero dedicarsi, senza tergiversare, tutti i paesi dell’Unione europea.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

pubblicità