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Ipotesi per il futuro della Siria

Una manifestazione contro la guerra in Siria a Londra, il 16 aprile 2018. (Hannah McKay, Reuters/Contrasto)

Il 16 aprile il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha avviato l’esame del progetto di risoluzione francese sostenuto da Londra e Washington. Immaginiamo per un attimo che si apra una discussione in “buona fede” come auspicato dalla Francia e si arrivi, questa volta per davvero, a un cessate il fuoco generale, a un libero accesso dei convogli umanitari per i quali Parigi ha appena sbloccato 50 milioni di euro e soprattutto a un rilancio del negoziato di Ginevra per una soluzione politica di questa guerra dei sette anni.

Certo, lo scetticismo è comprensibile. Le speranze si sono infrante troppe volte perché ci si possa ancora credere. Ma è anche vero che la Russia avrebbe bisogno di trovare una soluzione prima di impantanarsi in Medio Oriente come già successo agli Stati Uniti in Vietnam.

La Turchia sunnita non vuole vedere la nascita di un Kurdistan siriano così come non vuole assistere a una vittoria totale di Bashar al Assad, che segnerebbe un trionfo dell’Iran sciita in Medio Oriente. Quanto ad Assad e ai suoi alleati iraniani, non possono sperare di ricostruire e stabilizzare la Siria senza fare un minimo di concessioni politiche.

L’esempio dei cantoni svizzeri
Siamo arrivati al momento in cui, come in tutti i conflitti, la necessità di un compromesso finisce per imporsi. Allora sì, potremmo davvero immaginare che il progetto di risoluzione francese apra la strada a un vero negoziato. Se davvero riuscissimo a compiere questo passo, sapremmo per certo quale dovrebbe essere il successivo.

Per ottenere la pace bisognerebbe infatti trasformare la Siria in una confederazione di cantoni autonomi – come la Svizzera – dove ciascuno dei componenti potrebbe autogovernarsi e garantire la propria sicurezza nel quadro (aspetto fondamentale) di frontiere internazionali immutate.

La Turchia non avrebbe più motivo di temere la nascita di uno stato curdo che possa alimentare l’irredentismo dei curdi turchi mentre l’Iran, l’Arabia Saudita e la Russia potrebbero proteggere le relative zone d’influenza per assicurarsi che la Siria non passi in blocco nel campo avversario.

Sarebbe fondamentale conservare le frontiere attuali della Siria per evitare che la definizione di nuovi confini prolunghi la guerra. Inoltre bisognerebbe concedere a tutti – sunniti, sciiti, drusi, curdi e cristiani – un’autonomia sufficiente per non sentirsi minacciati.

Se ci riuscissimo, Bashar al Assad diventerebbe solo il presidente di uno stato confederato senza reali poteri e potrebbe essere allontanato, a tempo debito, attraverso elezioni senza una grande posta in gioco. Non è un’utopia. Qualsiasi soluzione passa necessariamente da questo approccio. Resta da capire se la ragione riuscirà finalmente a prevalere o se dovremo aspettare altri orrori.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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