×

Fornisci il consenso ai cookie

Internazionale usa i cookie per mostrare alcuni contenuti esterni e proporti pubblicità in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di più o negare il consenso, consulta questa pagina.

La miccia del conflitto tra Serbia e Kosovo rischia di riaccendersi

Serbi ultranazionalisti protestano a Belgrado contro un festival culturale kosovaro, il 29 maggio 2019. (Marko Djurica, Reuters/Contrasto)

Le guerre latenti rischiano sempre di riesplodere da un momento all’altro. È il caso della Serbia e del Kosovo, che negli ultimi due giorni hanno vissuto un ritorno della tensione, con l’esercito di Belgrado in stato d’allerta.

Quella in Kosovo è stata la guerra di troppo nell’implosione della ex Jugoslavia. Negli anni novanta le sei repubbliche federali che formavano la Jugoslavia sono diventate indipendenti dopo una serie di conflitti devastanti che l’Europa non vedeva ormai da decenni.

La situazione del Kosovo era di natura diversa, perché si trattava di una parte integrante della Serbia popolata soprattutto da albanesi musulmani. Nel 1999, davanti alla minaccia della pulizia etnica, l’esercito della Nato è intervenuto bombardando Belgrado. Il Kosovo alla fine si è separato dalla Serbia. Inizialmente gestito dalla comunità internazionale, il territorio ha proclamato la sua indipendenza nel 2008 senza però trovare un accordo definitivo con il governo serbo.

Da quel momento la situazione è sempre stata complessa. Belgrado, come il suo alleato russo, continua a non riconoscere Pristina, capitale del Kosovo, e le minoranze etniche continuano a rappresentare un difficile problema.

Reazioni a catena
Il 29 maggio a Mitrovica, città kosovara a maggioranza serba, un’operazione di polizia ha innescato una reazione a catena. Ufficialmente, secondo Pristina, si è trattato di un’azione contro la criminalità, con arresti che hanno coinvolto sia serbi sia albanesi.

I serbi del Kosovo, però, hanno pensato a una “provocazione”. A Mitrovica, città da sempre al centro delle tensioni, sono stati bruciati copertoni e si sono verificati anche scambi di colpi di arma da fuoco.

I territori su cui si è ipotizzato uno scambio tra Serbia e Kosovo

A preoccupare, però, è soprattutto la reazione di Belgrado. Il presidente serbo Aleksandar Vučić ha messo in allerta l’esercito e ha inviato una colonna di blindati verso il Kosovo, promettendo di “proteggere il nostro popolo in caso di grave minaccia”. In questo modo Vučić ha fatto presente che la Serbia considera ancora la minoranza serba del Kosovo come soggetta alla protezione di Belgrado.

Probabilmente, anche stavolta, la crisi sarà contenuta, ma la vicenda evidenzia comunque problemi irrisolti.

Nel 2018 i due paesi hanno negoziato un controverso accordo per lo scambio di territori e popolazione. I dubbi nascevano dal fatto che in questo modo sarebbe stata realizzata una separazione dei popoli, una forma di pulizia etnica indolore attraverso l’alterazione delle frontiere. Ma d’altro canto questo avrebbe permesso di ridurre le frizioni.

Alla fine il negoziato è fallito e le due capitali hanno ripreso la litania di rivendicazioni, animate da un nazionalismo etnico sempre vivace. Il Kosovo ha addirittura imposto dazi doganali del 100 per cento sui prodotti serbi, irritando Belgrado. Solo la prospettiva europea, per quanto lontana, ha permesso di calmare gli animi.

Ora le persone ostili alla separazione etnica sembrano accettarla per realismo, convinte che sia l’unico modo di smorzare la tensione. Nei Balcani di oggi esistono ancora numerose micce che aspettano solo di riaccendersi.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Leggi anche:

pubblicità