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Nello specchio deformante della pandemia

New York, il 5 aprile 2020. (Cindy Ord, Getty Images)

Dalla sua comparsa a Wuhan, nel cuore della Cina, l’epidemia di coronavirus ha funzionato come uno specchio deformante del mondo. Il fatto che il contagio si sia diffuso in modo graduale in tutti i continenti, in tutti i paesi e perfino all’interno dei singoli stati ci ha spinto a guardare ciò che accadeva altrove come se non ci riguardasse, o comunque come se non ci riguardasse allo stesso modo.

A gennaio l’Europa ha osservato le immagini da Wuhan con distacco, senza immaginare nemmeno per un momento che il virus potesse travolgerla. Di sicuro le informazioni incomplete trasmesse dai cinesi hanno avuto un ruolo importante in questo fenomeno, ma è anche vero che le scene apocalittiche negli ospedali sono state accolte con un incosciente senso si superiorità: da noi non potrebbe mai accadere.

Quando l’Italia del nord è stata colpita duramente, con il collasso degli ospedali, abbiamo ascoltato gli stessi commenti, per esempio a proposito della fragilità dello stato italiano. Anche in quel caso nessuno ha pensato che il problema potesse arrivare “a casa propria”.

Arroganza incosciente
Quando la Francia è stata travolta dalla pandemia, la Bbc britannica ne ha parlato come di una tragedia lontana. Idem per la Cnn: i compassionevoli americani mostravano il dolore dell’Europa come se l’Atlantico potesse fungere da barriera. Intanto i leader dei paesi che erano ancora risparmiati dal virus davano il cattivo esempio. Boris Johnson continuava a stringere mani, mentre Donald Trump parlava di frode. Anche in quel caso si è trattato di un’arroganza incosciente, e il risveglio è stato brutale.

Questo specchio ci fa capire che l’idea che abbiamo di noi stessi e degli altri spesso è molto lontana dalla realtà.

Il risveglio è ancora più drammatico per il paese che si considera una superpotenza in ogni ambito

Dopo l’Europa, che ha pagato sulla sua pelle la carenza di maschere, gel igienizzante e respiratori pur avendo un sistema sanitario di livello mondiale, ora tocca agli Stati Uniti.

Il risveglio è ancora più drammatico per il paese che si considera una superpotenza in ogni ambito ma che non se la passa meglio degli altri, con l’aggiunta di un presidente incoerente in una nazione spaccata. Eppure nel 2019 una classifica dei paesi più preparati al rischio di una pandemia indicava gli Stati Uniti al primo posto…

Lo sguardo degli altri è crudele come lo era stato quello degli Stati Uniti. Sul Financial Times la scrittrice indiana Arundhati Roy racconta la fascinazione che prova dalla sua India isolata e sfortunata quando guarda alla tv statunitense gli appelli dei medici senza mascherine e senza guanti. “Mio dio, anche in America!”, esclama. Per Roy, che non ha mai amato molto gli Stati Uniti, il re è ormai completamente nudo.

Lo specchio della pandemia ci rivela le forze e le debolezze del nostro mondo, la fragilità di potenze troppo sicure di sé (di cui facciamo parte) e i successi inattesi come quelli di Corea del Sud e Taiwan, o attesi come quello della Germania. Questo specchio, inoltre, evidenzia il desiderio che il mondo del dopo pandemia non somigli a quello di prima, e non solo per fare in modo che la prossima crisi non ci prenda alla sprovvista.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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