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L’Iran lancia un messaggio alla nuova Casa Bianca

Una cerimonia per ricordare l’omicidio di Qassam Soleimani a Kirman, Iran, 2 gennaio 2020. (Fatemeh Bahrami, Anadolu Agency/Getty Images)

Difficile capire se siamo davanti agli ultimi sussulti dell’era Trump o alle prime manovre dell’era Biden. Il tema del nucleare iraniano è uno di quelli in cui la posizione dei due è più diversa, e l’Iran manovra tra queste due epoche dopo quattro anni particolarmente agitati.

Il 4 gennaio, in un momento di forte tensione, il governo iraniano ha annunciato di aver ripreso l’arricchimento dell’uranio al 20 per cento, infrangendo chiaramente l’accordo internazionale del 2015 che limita il tasso di arricchimento al 3,6 per cento, in modo da scongiurare la costruzione di un’arma nucleare.

Nell’annuncio sono contenuti diversi simboli, e questo ne complica l’interpretazione. L’Iran aveva comunicato le proprie intenzioni all’indomani dell’omicidio dello scienziato nucleare Mohsen Fakrizadeh. Si tratta dunque di un’escalation annunciata, che arriva il giorno successivo all’anniversario di un altro omicidio, quello del generale Qassam Soleimani. A Teheran questi simboli hanno la loro importanza.

Doppio messaggio
La prima conseguenza della decisione, immediata, è che l’Iran si espone alle sanzioni previste dall’accordo del 2015. Ma non è sicuramente la più importante. Nel gesto di Teheran è contenuto un doppio messaggio: il primo è rivolto a Donald Trump, e vuole dimostrare che l’Iran non si lascia intimidire dalle minacce in un momento in cui Washington ha inviato le sue forze aeronavali nel Golfo, anche se l’Iran non ha fatto nulla che possa giustificare un attacco statunitense immediato.

Il secondo messaggio è rivolto a Joe Biden, ed è più sottile. Con questo balzo in avanti, l’Iran potrebbe aver preparato il terreno per un negoziato. Quale miglior segno di buona volontà che annullare una decisione appena presa?

Gli Stati Uniti chiederanno di inserire il programma balistico iraniano in una nuova fase del negoziato una volta ripristinato l’accordo del 2015

La principale difficoltà della prossima fase con l’amministrazione Biden è quella di stabilire chi farà il primo passo. Il 3 gennaio Jake Sullivan, futuro consulente per la sicurezza nazionale, ha dichiarato alla Cnn che se l’Iran rientrasse nei parametri dell’accordo del 2015 Washington riprenderebbe il suo posto all’interno del trattato rinnegato da Trump. Ma Teheran chiede prima di tutto la cancellazione delle sanzioni statunitensi. E così si crea un circolo vizioso.

Le possibilità di successo sono piuttosto deboli, perché non si tratta solo di tornare allo statu quo del 2015, quando l’Iran aveva annunciato la rinuncia al programma nucleare. Nella stessa intervista, infatti, Sullivan ha aggiunto che gli Stati Uniti chiederanno che il programma balistico iraniano faccia parte di una nuova fase del negoziato una volta ripristinato l’accordo del 2015. Teheran si oppone categoricamente.

Ognuno, evidentemente, ha precisi limiti da rispettare. L’amministrazione Biden non vorrà prestare il fianco all’accusa di essere troppo morbido con l’Iran, mentre a Teheran l’equilibrio politico pende ormai dalla parte dei falchi del regime.
Se il filo del negoziato non sarà riannodato avremo una vittoria a posteriori di Donald Trump, perché il nucleare iraniano sarà al centro delle tensioni nella regione, con tutti i rischi che questo comporta in un’area del mondo estremamente instabile.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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