30 novembre 2020 10:28

Il 30 novembre, a Teheran, si celebreranno i funerali di stato di Mohsen Fakhrizadeh, lo scienziato considerato l’uomo chiave del programma nucleare iraniano. Lo scorso 27 novembre Fakhrizadeh è stato ucciso in pieno giorno nel cuore della capitale iraniana. L’omicidio non è stato rivendicato, ma Israele non ha fatto molto per nascondere il proprio ruolo di mandante. D’altronde tutti, nella regione, ricordano che nel 2018 Benjamin Netanyahu invitò i partecipanti a una conferenza stampa ad “annotare” il nome di Fakhrizadeh.

La vicenda non è soltanto l’ennesimo episodio nella guerra nascosta tra i due paesi, ma assume un peso particolare tenendo conto del contesto, ad appena sette settimane all’insediamento del nuovo presidente degli Stati Uniti. Joe Biden vorrebbe resuscitare l’accordo sul nucleare del 2015, concluso da Barack Obama e combattuto con ogni mezzo da Donald Trump, con grande soddisfazione di Israele e Arabia Saudita.

L’omicidio di Fakhrizadeh mette l’Iran davanti a un dilemma: è davvero il caso di prendere la strada della vendetta come chiedono i Guardiani della rivoluzione, già duramente colpiti all’inizio dell’anno dall’assassinio del carismatico generale Qassem Soleimani, ucciso da un missile americano a Baghdad, in Iraq?

Finora l’Iran sembra aver scelto di attendere l’insediamento di Joe Biden per verificare le sue intenzioni e il margine di manovra

L’omicidio dello scienziato, nel centro di Teheran, rappresenta un’umiliazione per le autorità iraniane, una faglia nel sistema di sicurezza in un paese strettamente controllato. La facilità con cui gli agenti israeliani operano a Teheran ricorda una serie di Netflix, più che la realtà. Di conseguenza la reazione a caldo potrebbe essere quella di cercare una ritorsione, e in effetti il parlamento iraniano ha votato all’unanimità una mozione che chiede di vendicare lo scienziato.

Ma alla fine il governo di Teheran, consapevole della posta in gioco, cercherà probabilmente di evitare un’escalation. Una risposta aggressiva dell’Iran potrebbe infatti innescare un attacco da parte di Israele (e forse anche degli Stati Uniti) contro le strutture nucleari iraniane, creando un clima di scontro che escluderebbe qualsiasi azione diplomatica.

Finora l’Iran sembra aver scelto di attendere l’insediamento di Biden per verificare le intenzioni e il margine di manovra del nuovo presidente degli Stati Uniti.

Ma cosa potrà fare Biden? Al momento sono due i paesi che hanno infranto i termini dell’accordo sul nucleare: gli Stati Uniti, che si sono ritirati unilateralmente, e l’Iran, che ha ripreso il suo programma per l’arricchimento dell’uranio.

Il primo passo per ridare vita all’accordo sarebbe fare in modo che entrambi i paesi, senza parlarsi direttamente, tornino a rispettare i termini fissati nel 2015, insieme agli europei che hanno tenuto in vita l’accordo anche durante gli anni di Trump.

Ma il rispetto del vecchio accordo non è più sufficiente, perché ora gli occidentali vogliono mettere sul piatto anche la durata dell’accordo, il programma balistico e la politica regionale dell’Iran. Per Teheran è difficile accettarlo, ma nella diplomazia niente è impossibile, soprattutto considerando la situazione economica catastrofica dell’Iran.

Resta da capire se nel clima attuale esiste ancora uno spazio per la diplomazia. Per trovare una risposta a questo interrogativo saranno cruciali le prossime sette settimane, in cui Donald Trump e i suoi alleati seguiranno la politica della terra bruciata per impedire un ritorno del negoziato mentre gli iraniani dovranno resistere alla tentazione della rappresaglia.

Al momento, comunque, è difficile prevedere quale sarà la situazione quando Biden metterà piede alla Casa Bianca.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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