18 novembre 2020 10:06

L’11 novembre, cinque giorni dopo l’annuncio della sua sconfitta elettorale, Donald Trump ha riunito i principali esponenti della sua amministrazione e gli ha chiesto se fosse possibile bombardare un sito nucleare iraniano. I presenti, tra cui il capo di stato maggiore dell’esercito statunitense, hanno però fatto presente a Trump il rischio di scatenare un conflitto molto più vasto a poche settimane dalla fine del suo mandato.

L’episodio, rivelato dal New York Times, illustra lo stato d’animo del presidente in questo periodo particolare: da un lato Trump continua a negare la sconfitta, dall’altro cerca di creare situazioni irreversibili nei due mesi che gli restano alla Casa Bianca.

Bombardare l’Iran renderebbe molto complicato il piano di Biden di rilanciare, in una forma o nell’altra, il negoziato sul nucleare che era stato il grande successo di Barack Obama. Al contempo sembra che Trump si prepari a ridurre la presenza militare statunitense in Afghanistan e in Iraq, anche in questo caso per creare nuove difficoltà al suo successore.

Un mondo cambiato
Joe Biden vorrebbe seguire la logica dell’accordo internazionale del 2015, basato su uno scambio reciproco: l’Iran abbandonerebbe il suo programma nucleare in cambio della possibilità di uscire dal suo isolamento, in particolare da quello economico. Tutto questo ha funzionato fino all’avvento di Trump, che ha distrutto quello che il suo predecessore aveva costruito.

Il problema di Biden è che il mondo, il Medio Oriente e l’Iran sono molto cambiati negli ultimi tre anni. Questo significa che il prossimo presidente non potrà limitarsi a ripristinare il vecchio ruolo degli Stati Uniti, come intende fare per l’accordo di Parigi sul clima.

C’è un cambiamento nell’intera regione, soprattutto tra Israele e potenze arabe ostili a Teheran

Innanzitutto l’Iran, in rappresaglia contro le sanzioni statunitensi, ha rilanciato il proprio programma nucleare e oggi si trova in violazione dell’accordo. In secondo luogo il rapporto di forze a Teheran non è più favorevole al clan moderato del presidente Hasan Rohani. I falchi del regime, che hanno ripreso in mano la situazione, non sono disposti a trattare ancora con il “diavolo” statunitense e addirittura chiedono un risarcimento per l’impatto delle sanzioni. Difficile immaginare che Biden possa accettare queste condizioni.

Infine bisogna tenere conto del cambiamento nell’intera regione, soprattutto tra Israele e potenze come gli Emirati Arabi Uniti, molto ostili nei confronti di Teheran.

Riuscirà Biden a riaprire il dialogo con l’Iran? Prima di tutto dovrà parlarne con gli europei, gli altri firmatari dell’accordo del 2015 e gli unici che hanno mantenuto un canale di comunicazione con Teheran. Ma non sarà facile ripristinare un clima di fiducia, soprattutto considerando che gli occidentali vogliono mettere sul piatto le capacità balistiche e l’azione regionale dell’Iran.

Teheran ha un bisogno vitale di tornare a esportare liberalmente il suo petrolio per portare sollievo a una popolazione sfiancata dalle sanzioni e dal covid-19. Ma se il prezzo da pagare dovesse essere troppo alto, il regime dirà no, preferendo il proprio isolamento a quello che sarebbe percepito come un segno di debolezza.

La questione iraniana non si sbloccherà da un giorno all’altro, ma quanto meno Biden non dovrà dare inizio al suo mandato con una nuova guerra per le mani, gentile regalo di Donald Trump. È già qualcosa.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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