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Il ritiro statunitense dall’Afghanistan scatena l’offensiva taliban

Miliziani che combattono al fianco delle forze di sicurezza afgane a Kabul, 23 giugno 2021. (Rahmut Gul, Ap/LaPresse)

Lo scenario era prevedibile da quando Joe Biden ha confermato, e accelerato, la partenza delle ultime truppe statunitensi dall’Afghanistan. I taliban sono passati all’offensiva, conquistando una cinquantina di distretti (sui 400 complessivi del paese) e assumendo il controllo di postazioni strategiche in prossimità e attorno alle diverse capitali provinciali. È il caso soprattutto di Kunduz, nel nord del paese, che i taliban avevano brevemente conquistato nel 2015 prima di essere cacciati dalle truppe di Washington.

Qualche giorno fa i combattenti islamisti si sono impossessati di una postazione di frontiera sulla strada che collega l’Afghanistan al Tagikistan: la porta verso l’Asia centrale è ormai nelle loro mani.

Mentre i taliban fanno avanzare le loro pedine, il presidente afgano Ashraf Ghani è atteso il 25 giugno a Washington per incontrare Biden e i responsabili del Pentagono. Al centro dell’incontro ci sarà la fase successiva al ritiro completo del contingente statunitense, previsto tra meno di due settimane. Un “dopo” che dalla prospettiva di Kabul appare sempre più inquietante, in mancanza di qualsiasi accordo politico tra gli afgani.

Gli scenari possibili vanno da una catastrofe come quella vietnamita, con una conquista di Kabul e un crollo dell’esercito nazionale afgano, a una resistenza dei 50mila soldati afgani che potrebbero essere capaci di difendere la capitale e parte del paese.

La realtà sarà senz’altro una via di mezzo tra questi due estremi, con il rischio di veder proliferare le milizie su base etnica che esistevano negli anni novanta e che oggi sembrano risorgere di pari passo alla paura di veder tornare i taliban al potere.

L’unica certezza è che Biden vuole voltare pagina

Nessuno può prevedere l’impatto psicologico che avrà la partenza dei soldati statunitensi il prossimo 4 luglio, con la chiusura delle grandi basi come quella di Bagram, nei pressi di Kabul. Al momento restano diverse incognite che saranno chiarite durante la visita del presidente. Soprattutto sarà affrontato un interrogativo: quale sostegno continueranno a garantire gli Stati Uniti all’esercito afgano, in termini di copertura aerea, ricerca di informazioni o consegna di attrezzature sofisticate?

L’unica certezza è che Biden vuole voltare pagina rispetto alla più lunga guerra condotta dagli Stati Uniti, durata quasi vent’anni e impossibile da vincere. Il presidente ha accelerato il calendario senza farsi troppi scrupoli, a rischio di favorire il ritorno dei taliban in un Afghanistan urbano che, malgrado tutte le difficoltà, si è trasformato e modernizzato, in particolare per quanto riguarda il ruolo delle donne.

Nelle ultime settimane una serie di attentati ha allarmato particolarmente la società civile afgana. Si è trattato di omicidi mirati di giovani donne, giornaliste e non solo.
Se il peggio deve ancora venire e se l’Afghanistan ripiomberà nell’oscurantismo imposto dai taliban quando erano al potere (fino al 2001), gli occidentali dovranno riconoscere un doppio fallimento, quello della guerra e quello legato alla loro incapacità di ottenere la pace. E gli afgani ne saranno le prime vittime, dopo aver creduto alla promessa di un paese diverso e più aperto.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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