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Il dato comune di tre crisi mondiali

I soccorsi durante le inondazioni a Xinxiang, nella provincia cinese di Henan, 23 luglio 2021.

Nel flusso d’informazioni che caratterizza questa estate esistono tre crisi che vengono trattate separatamente, “in silo”, secondo l’espressione tecnica corrente. Eppure queste crisi hanno in comune un elemento fondamentale: sono legate, direttamente o indirettamente, alle scelte umane. Non devono nulla alla fatalità, e ancor meno al caso. Le tre crisi di portata mondiale sono il cambiamento climatico, di cui osserviamo gli effetti nelle temperature da record nel Nordamerica occidentale così come nelle inondazioni in Germania, in Belgio e in Cina; la sorveglianza di massa ulteriormente esplicitata dalla vicenda del “progetto Pegasus” e infine la pandemia che stravolge il mondo da più di diciotto mesi, con le critiche al green pass da un lato e le disuguaglianze mondiali nell’acceso ai vaccini dall’altro.

Queste tre crisi rivelano le contraddizioni della nostra epoca, a cominciare dalla nostra incapacità di prendere collettivamente le decisioni che ci permetterebbero, se non proprio di risolverle, quanto meno di attenuarne la portata. Per fare la scelta giusta non basta essere in possesso di tutti i dati. Serve il consenso, che al momento appare irraggiungibile. Questa realtà è evidente da tempo rispetto alla crisi climatica, con l’impossibile equilibrio tra “la fine del mondo e la fine del mese”, secondo la formula comparsa durante la crisi dei gilet gialli in Francia nell’autunno 2018. Il compromesso permanente ha reso già superati gli obiettivi degli accordi di Parigi, fissati appena sei anni fa.

Uno sdegno poco credibile
La stessa dinamica si ritrova nel problema sempre più invadente della sorveglianza di massa. Nel 2013 Edward Snowden aveva svelato la portata dello spionaggio planetario condotto dalla National security agency (Nsa). Otto anni dopo, il software-spia Pegasus prodotto dall’azienda privata israeliana Nso aggiunge una dimensione di targeting e intrusione senza precedenti.

Le manifestazioni di sdegno che hanno accompagnato le rivelazioni fatte da un consorzio di testate giornalistiche sarebbero più credibili se i governi da cui provengono non adottassero le stesse pratiche di intrusione, con o senza l’aiuto di Pegaus. Nessuno ha ancora proposto di vietare al livello internazionale questo genere di software né ha fatto pressione sul governo israeliano affinché cessi di fornire ai regimi più autoritari i mezzi per spiare i loro cittadini.

Infine, la comparsa dei vaccini contro il covid-19 ha evidenziato la fragilità delle nostre società, da quelle nazionali a quella internazionale. I social network hanno sicuramente una parte di responsabilità nella diffusione dello scetticismo rispetto ai vaccini. “Facebook uccide”, aveva attaccato Joe Biden a metà luglio, prima di smorzare i toni pochi giorni dopo. Ma bisogna comunque riflettere sul motivo per cui così tanti statunitensi, francesi o tedeschi dubitano dell’efficacia dei vaccini, o peggio aderiscono a tesi complottiste stravaganti. Il problema è evidentemente legato alla crisi di fiducia che colpisce le nostre democrazie.

Nel frattempo, mentre gli occidentali rifiutano il vaccino, altri popoli muoiono perché non ne hanno. Basta gettare lo sguardo sull’altra sponda del Mediterraneo, in Tunisia, dove c’è voluta un’esplosione fuori controllo della pandemia prima che arrivassero milioni di dosi, dalla Francia e da altri paesi. L’Africa è la parente povera della vaccinazione, e questo mette a repentaglio l’obiettivo dell’immunità collettiva planetaria, l’unico strumento per superare la pandemia.

In queste tre crisi l’elemento comune è la sfiducia, in particolare quella dei cittadini davanti alle scelte politiche, alla loro efficacia, alla loro trasparenza e alle loro motivazioni. Questa crisi della politica è diffusa in tutto il mondo, come testimonia la spinta populista in tutti i continenti.

Il fenomeno è al centro della nuova rivalità tra i sistemi prodotta dall’ascesa del totalitarismo cinese, caratterizzato da un’innegabile efficacia. Il clima, la sorveglianza e la pandemia dovrebbero costituire ambiti in cui le democrazie sono in grado di fare la differenza, prendendo decisioni adatte su basi scientifiche, difendendo le libertà individuali ed esprimendo una solidarietà e un umanesimo che sono al centro dei valori autoproclamati. Il divario tra questi valori e la realtà alimenta la sfiducia. Tuttavia, se i 27 paesi dell’Unione europea si dotassero dei mezzi necessari, il modello europeo avrebbe ancora la possibilità di reinventarsi e superare le tre crisi in atto.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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