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Vladimir Putin tra soddisfazione e frustrazione

La pubblicità della conferenza stampa annuale del presidente Vladimir Putin a Mosca, 18 dicembre 2025. (Ramil Sitdikov, Reuters/Contrasto)

Cosa pensa Vladimir Putin mentre riflette sull’anno che sta per finire, seduto nel suo ufficio al Cremlino? È soddisfatto dei risultati ottenuti dal suo esercito in Ucraina? Ricorda con piacere il tappeto rosso che gli ha steso Donald Trump in Alaska ad agosto, lui che viaggia poco a causa del mandato d’arresto della Corte penale internazionale? Oppure sorride pensando a Emmanuel Macron che, dopo una sola telefonata in tre anni, ha provato a far ripartire il dialogo?

Ma per Putin ci sono anche motivi di frustrazione, a cominciare dal fatto che la Russia non ha ottenuto una vittoria decisiva sul campo in Ucraina, nonostante un rapporto di forze favorevole, e si è dovuta accontentare di lente conquiste territoriali, significative ma non determinanti, che hanno causato molte morti. Inoltre, nonostante la presenza di un amico alla Casa Bianca e di un inviato speciale tutt’altro che ostile come Steve Witkoff, Putin non è riuscito a fermare gli aiuti statunitensi a Kiev né a emarginare gli europei.

Il 2025 termina in modo ambiguo per il presidente russo, mentre la sua “operazione militare speciale”, che si sarebbe dovuta concludere con una vittoria facile, entra nel suo quinto anno di vita senza che la fine sia davvero a portata di mano.

In pubblico Putin si mostra sempre fiducioso. Il 19 dicembre, come ogni anno, ha incontrato la stampa e i cittadini, uno spettacolo interminabile durante il quale ha proiettato un’immagine di serenità e forza. Ma all’alba del 22 dicembre un generale russo, parte dello stato maggiore, è stato ucciso a Mosca da una bomba messa nella sua auto. L’episodio si aggiunge ai tanti attacchi contro le raffinerie e le infrastrutture compiuti dai droni ucraini ben all’interno dei confini della Russia e a quelli contro le navi della “flotta fantasma” russa, che aggirano le sanzioni ed esplodono misteriosamente in mare. Queste operazioni audaci dimostrano che l’Ucraina è ancora capace di far male al nemico.

Tutto questo, però, non impedisce a Putin di continuare a fare richieste estreme, rendendo impossibile qualsiasi accordo, forte del sostegno cinese e dei contributi allo sforzo bellico da parte di Iran e Corea del Nord.

Nel 2026 Putin continuerà a giocarsi tutte le carte di cui dispone: la forza militare, la diplomazia con gli Stati Uniti, la guerra ibrida contro gli europei, le minacce, il potere della seduzione. Il presidente russo è abile in questo gioco. E può contare sul sostegno di un piccolo gruppo di paesi dell’Unione europea, guidati dall’Ungheria di Viktor Orbán. Venerdì scorso questi paesi hanno permesso ai 27 stati membri di concedere un prestito collettivo da novanta miliardi all’Ucraina solo a condizione di ottenere un opt-out, ovvero una clausola che gli permetta di tirarsi fuori. La settimana scorsa Putin, definendo gli europei “piccoli maiali”, ha manifestato la speranza che diversi stati seguano l’esempio dell’Ungheria e degli altri paesi filorussi, magari pensando alla Francia dopo le presidenziali del 2027.

Nel 2026 il presidente russo continuerà a sfruttare tutte le armi a sua disposizione – militari, diplomatiche e di destabilizzazione dell’avversario – per capire quale funziona meglio. Di sicuro non possiamo aspettarci che ammetta di aver avuto torto sull’Ucraina nel 2022.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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