07 settembre 2015 11:00

Lizanne Foster sarà ospite del festival di Internazionale a Ferrara, per parlare di educazione e scuola insieme al linguista Tullio De Mauro.

All’epoca in cui l’Europa stava passando da un’economia basata sull’agricoltura a una industriale, le scuole erano i magazzini del nuovo sapere che serviva per affermarsi nel nuovo mondo. Gli insegnanti fornivano i contenuti e le conoscenze ritenute necessarie per il successo della classe media.

Ma quale ruolo hanno gli insegnanti oggi, nel ventunesimo secolo, quando gli studenti si portano in tasca un dispositivo che dà loro un accesso istantaneo a tutta la conoscenza umana? A che serve l’insegnante ora che la sua funzione di “fornitore di contenuti” è tramontata?

Secondo me l’insegnante dovrebbe essere una sorta di padrone di casa che organizza uno spazio per l’apprendimento socialmente accogliente, emotivamente sicuro e intellettualmente stimolante.

Così, visto che le vacanze estive stanno finendo, sono andata a controllare la mia aula. Volevo vedere quanto lavoro avevo da fare prima di dare il benvenuto agli studenti il primo giorno di scuola. Il pavimento era lucido e la lavagna perfettamente pulita: una superficie scintillante in attesa delle prime lezioni del nuovo anno scolastico.

Per me l’inizio dell’anno scolastico è sempre stato una sorta di secondo Capodanno e, come per il 1 gennaio, faccio dei buoni propositi. In passato, i miei buoni propositi si concentravano su come rendere la mia aula un luogo più accogliente, uno spazio in cui gli studenti avrebbero voluto trovarsi. All’inizio ho cercato di rendere lo spazio più caldo, aggiungendo tende e altre macchie di colore agli spazi spenti e grigi. Nel corso degli anni ho portato divani e cuscini, e anche una piccola cucina. Ho anche cercato di rendere la classe più accogliente dal punto di vista psicologico, inserendo delle pause durante le lezioni: danza, stretching, yoga della risata. A volte gli studenti meditano, a volte fanno un pisolino prima di riprendere la lezione.

Sulla porta

Ho cercato anche altri modi per mettere gli studenti più a loro agio. Fin dall’inizio della mia carriera d’insegnante, ho cercato di democratizzare la mia classe. Spesso discuto con gli studenti le finalità dei compiti e contrattiamo regolarmente le date di consegna.

Ogni anno incontro alcuni di loro per discutere le questioni di fondo della nostra comunità di classe. Abbiamo anche una procedura per gestire i conflitti. Ma nonostante tutte le iniziative che ho preso e tutti i tentativi che ho fatto, per alcuni studenti la mia classe è accogliente solo a volte.

Il mio proposito per il nuovo anno scolastico è di farmene una ragione e fare i conti con il mio ego sulla porta dell’aula.

Non fraintendetemi. Questo non significa che smetterò di lavorare per rendere la classe un luogo in cui gli studenti possano imparare e in cui stiano volentieri. Significa che, a decenni di distanza dalla prima volta che sono entrata in aula come insegnante, oggi accetto di avere un compito impossibile: rendere l’ambiente ospitale per tutti i miei studenti, sempre.

Sono certa che non c’è bisogno di elencare tutti i motivi per cui le scuole possono essere dei luoghi inospitali per molti studenti. I disagi dei ragazzi che devono sopportare omofobia e razzismo sono ben noti, ma forse è meno riconosciuto il disagio di tutti gli studenti che ogni giorno devono stare sei ore seduti ad ascoltare qualcuno. Ogni anno mi scuso con i miei studenti per ciò che stoicamente sopportano nelle scuole.

Cercherò di educare i miei studenti in modo ospitale, che va ben oltre l’offerta di divani, cuscini e biscotti.

Quest’anno continuerò a porgere queste scuse con una più chiara comprensione del perché siano necessarie. Quest’anno cercherò di educare i miei studenti in modo ospitale. Come ho imparato leggendo il libro di Claudia Ruitenberg Unlocking the world: education in an ethic of hospitality, educare gli studenti in modo ospitale va ben oltre l’offerta di divani, cuscini e biscotti.

Un insegnante-padrone di casa che educhi in modo ospitale ha molte più incombenze di quelle che ha avuto la mia amica Stephanie quando, recentemente, ha dato una festa a casa sua. Tutto ciò che Stephanie ha dovuto fare per accogliere i suoi ospiti è stato pulire la casa, comprare da bere e da magiare e fare gli inviti. Durante la festa ha fatto in modo che cibo e bevande non mancassero mai ed è andata in giro a chiacchierare con i vari gruppetti. La maggior parte degli ospiti ha detto di essersi divertita molto. Stephanie si è divertita sicuramente.

Ma il genere di ospitalità che ho in mente richiede una preparazione diversa rispetto a ciò che normalmente fanno gli insegnanti durante le vacanze estive. D’estate, se non facciamo corsi di aggiornamento, di solito frequentiamo conferenze o seminari, leggiamo su internet articoli sulla formazione e rivediamo i moduli didattici. Anche se tutto questo lavoro preparatorio assume forme diverse, essenzialmente punta ad aumentare la nostra conoscenza e la nostra professionalità.

Ma, per cominciare a educare nell’ottica di un’etica dell’ospitalità, devo interrogare la mia identità in quanto insegnante.

Con occhi nuovi

Confesso che mi è piaciuto parecchio essere un’insegnante popolare. Mi sono divertita a essere l’anticonformista che in classe fa cose fichissime. Ero così abituata a sentirmi dire che gli studenti amavano le mie lezioni, che è stato uno shock quando, la scorsa primavera, ho scoperto che ad alcuni studenti stare nella mia classe non piaceva affatto. Poiché prendevo la loro critica sul piano personale, mi sono sentita un fallimento completo.

Ammetto che, quando gli studenti non si entusiasmano per il contenuto delle lezioni, lo considero un affronto, come se fossi stata io in persona l’autore delle conoscenze che provo a diffondere. Ma se voglio educare in modo ospitale, devo accettare che la conoscenza che condivido con i miei studenti non è mia. L’ho ereditata dai milioni di persone che nel corso della storia umana hanno fatto delle scoperte. In quanto insegnante, sono solo una delle tante custodi temporanee della nostra conoscenza collettiva.

Il mio lavoro come insegnante è fornire alcune delle chiavi di accesso a questa conoscenza, “aprire la serratura del mondo” per i miei studenti. Anni fa ho avuto uno studente, D., che mi ha riportato con i piedi per terra. Ricordo perfettamente quando mi ha detto: “Signora Foster, ha presente quel punto dell’universo attorno al quale gira tutto? Non è lei!”.

Sono scoppiata a ridere. Era la migliore delle obiezioni possibili a qualunque tronfia posizione di “grande educatrice” avessi assunto allora.

Quando faccio i conti con il mio ego sulla porta dell’aula, devo anche aspettarmi che i miei studenti non saranno affascinati quanto me dal programma, e che ne contesteranno i contenuti. Educare nell’ottica di un’etica dell’ospitalità significa non solo permettere che queste contestazioni avvengano, ma anche incoraggiarle. In fondo, è così che ha progredito la conoscenza umana nel corso dei millenni: con occhi nuovi che guardano vecchie verità e vedono qualcosa di più, qualcosa di diverso.

Come potete vedere, questo tipo di preparazione implica un cambio di paradigma rispetto al mio ruolo in classe. Anche se ho la responsabilità di creare per i miei studenti uno spazio in cui auspicabilmente siano a loro agio e coinvolti, non posso aspettarmi che apprezzino tutto quello che ho preparato per loro o che apprezzino il programma che posso offrire. In vista di questo nuovo anno scolastico, non devo dimenticare che ciò che porto nella mia classe è meno importante di quello che lascio sulla porta. Non c’è posto per il mio ego in un’aula ospitale.

(Traduzione di Cristina Biasini)

Lizanne Foster è un’insegnante canadese. Sarà ospite del festival di Internazionale a Ferrara per parlare di educazione e scuola insieme a Tullio De Mauro.

Questo articolo è stato pubblicato il 4 settembre 2015 con il titolo “A scuola di ospitalità”. Compra questo numero | Abbonati

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