09 agosto 2016 09:57

Il 9 agosto, un attentato suicida in un ospedale ha provocato almeno 70 morti a Quetta, città del sud del Pakistan, nella provincia del Belucistan. Nell’attentato sono inoltre rimaste ferite 112 persone. L’attentato ha preso di mira le persone che si erano riunite in ospedale dopo l’uccisione di un famoso avvocato, Bilal Kasi. Decine di suoi colleghi erano presenti sul posto.

Negli ospedali vicini è stata dichiarata l’emergenza. Più di un centinaio di feriti sono stati portati nell’ospedale militare di Quetta. “Non pensavo di vedere i cadaveri di decine di colleghi”, dice Abdul Latif, un avvocato testimone dell’attentato. L’ordine degli avvocati osserverà tre giorni di lutto e non sarà presente in tribunale durante questo periodo.

Sia l’uccisione dell’avvocato sia l’attentato in ospedale sono stati rivendicati da una fazione dei taliban pachistani, Jamaat ul ahrar, che ha promesso nuovi attentati. L’esplosione è stata rivendicata anche dal gruppo Stato islamico (Is), attraverso il suo canale di propaganda Aamaq.

Attentati sempre più frequenti

Nel marzo del 2016 Jamaat ul ahrar aveva rivendicato anche il più cruento attentato che aveva ucciso 72 persone a Lahore e traumatizzato profondamente la comunità internazionale per l’esplosione di una bomba in un parco giochi per bambini.

Per la rivista The Diplomat è possibile che i taliban pachistani facciano riferimento alla rilevanza internazionale dell’Is per rilanciare la loro organizzazione.

Il paese è regolarmente oggetto di attentati compiuti da gruppi terroristici che prendono di mira la comunità sciita del paese. Dal 2007 a oggi ci sono stati 23 attentati, molti dei quali hanno hanno provocato la morte di più di cento persone.

Il governo e la classe politica hanno condannato in modo unanime questo attentato. Il primo ministro Nawaz Sharif ha elogiato il lavoro delle forze dell’ordine a Quetta e ha chiesto di rafforzare la sicurezza della provincia.

(Traduzione di Andrea De Ritis)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it