12 ottobre 2016 18:16

1. The eighth climate (what does art do?) Gwangju, fino al 6 novembre
L’opera The glass of petrol (2015) di Agnieszka Polska è uno dei lavori imperdibili dell’undicesima biennale di Gwanju. La gigantesca stampa digitale rappresenta un calice pieno di benzina, i cui riflessi policromi ricordano i colori della Terra vista dallo spazio. La dipendenza dell’umanità dal petrolio e l’idea di un mondo in crisi aprono questa edizione, rispondendo alla domanda posta dai curatori nella seconda parte del titolo: “cosa fa l’arte?”. L’altra metà del titolo si riferisce a un concetto mediato dalla filosofia persiana del dodicesimo secolo: una zona tra il materiale e l’immateriale che somiglia al regno dell’arte contemporanea. Dora García ha ricostruito la storica libreria Nokdu in cui si dice sia stata elaborata la rivolta democratica del 1980. La struttura di legno di García è uno spazio pubblico gestito dalla Book society di Seoul, dove si possono acquistare pubblicazioni su movimenti civili. C’è un avvincente parallelo tra la libreria di García e il chiosco di Annie Lai Kuen Wan, Everyday a rainbow (2016), dove si espongono oggetti provenienti da sei negozi del quartiere circostante. Le repliche di quegli stessi oggetti sono state collocate nelle vetrine dei rispettivi negozi. Entrambe le opere incarnano la capacità dell’arte di condividere visioni. Per chi acquista libri o chi capta il segnale del router criptato di Trevor Paglen, questa biennale lascia volutamente aperta la risposta alla domanda iniziale: cosa può fare l’arte? e-flux

2. Il riscatto dell’arte afroamericana
Carousel change, una tela dipinta da Sam Gilliam nel 1970, è annodata a cinque funi fissate al soffitto dell’abitazione di Pamela Joyner, una collezionista di arte afroamericana. È una massa fosforescente rosa, gialla e arancione, piegata come una vela in parte ammainata. Gilliam, consacrato dal Moma all’inizio della sua carriera, è uno dei più grandi pittori astratti viventi, ma non tutti gli addetti ai lavori conoscono questo artista afroamericano di 82 anni. I signori Joyner da anni spingono perché i musei mostrino anche gli antenati dimenticati delle superstar dell’arte degli anni novanta. Nel 2015 Obama ha appeso nella sala da pranzo della Casa Bianca una nuova acquisizione dell’artista afroamericana Alma Thomas, una pioniera dell’espressionismo astratto. Ed è stata messa vicino a lavori di Rauschenberg e Albers, due uomini bianchi molto più famosi di lei, come per mandare un messaggio preciso. Il 24 settembre il presidente degli Stati Uniti ha inaugurato il Museo nazionale di storia e cultura afroamericane. E lì, nell’atrio campeggia proprio un’opera di Gilliam. La tendenza si sta diffondendo: il Kunstmuseum di Basilea ha in programma una mostra su Gilliam, il Musée du quai Branly di Parigi sta per inaugurare una rassegna sugli ultimi 150 anni di arte afroamericana e la Tate Modern nel 2017 allestirà una mostra sugli artisti neri statunitensi del novecento. Questa inversione di tendenza mostra quanto gli afroamericani abbiano cambiato l’arte e mostrato una visione inedita degli Stati Uniti. The Economist

Questa rubrica è stata pubblicata il 7 ottobre 2016 a pagina 99 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

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