11 maggio 2017 17:44

Dormivano da un paio di mesi in un camper nel parcheggio del centro commerciale Primavera, a Centocelle, periferia est di Roma. Sette chilometri e mezzo dal Colosseo, lungo viale della Primavera, tra Tor de Schiavi e via Casilina. Alle 3 di notte del 10 maggio il camper ha preso fuoco ed Elisabeth, Francesca e Angelica Halilovic – tre sorelle di 20, 8 e 4 anni – sono morte nell’incendio, che secondo la polizia sarebbe di origine dolosa. I due genitori e gli altri otto fratelli sono riusciti a salvarsi.

Secondo i mezzi d’informazione italiani, alcuni filmati registrati dalle telecamere di videosorveglianza del supermercato mostrano un uomo che lancia una bottiglia incendiaria contro il camper. La procura di Roma ha aperto un fascicolo per omicidio volontario e incendio doloso, e per ora avrebbe escluso il movente razzista.

Dopo essere stati interrogati dalla polizia, i genitori di Elisabeth, Francesca e Angelica sono tornati nel campo rom di via Salviati, dove vive una parte della loro famiglia e dove risiedevano fino a qualche mese fa. “Entrambi sono nati in Italia, anche se le loro famiglie hanno origini jugoslave”, spiega Paolo Ciani della Comunità di sant’Egidio. “Sono rom italiani di etnia khorakhanè”, aggiunge, “hanno vissuto in diversi campi, in via Salviati e alla Barbuta, sempre a Roma, e in seguito a dei litigi con le loro famiglie si erano trasferiti nel parcheggio del centro commerciale”.

È lì che gli abitanti del quartiere si sono radunati per ricordare le tre vittime. Lo scheletro del camper è stato rimosso e a terra è rimasta solo cenere. Uno strato nero sull’asfalto. I residenti hanno appeso uno striscione con la scritta: “Sono morti del quartiere”. Una decina di mazzi di fiori sono stati appoggiati tra l’asfalto e i mattoncini rossi del muro che delimita il parcheggio. Gli attivisti dei centri sociali del quartiere hanno portato un altro striscione e l’hanno appoggiato per terra. “Centocelle antirazzista”, c’è scritto.

Nell’aria è rimasto un odore acre. Gli anziani del quartiere non credono che si sia trattato di un attacco di stampo razzista. “Questo è un quartiere popolare, di case costruite con le cooperative, è un quartiere rosso e con i rom siamo abituati a conviverci da sempre”, dice Carlo, un signore alto e imponente sulla settantina. Ricorda quando fino a pochi anni fa, a due passi da viale della Primavera sorgeva il Casilino 900, uno dei campi rom più grandi di Roma. “Le possibilità sono tre e quella più plausibile è che si sia trattato di un regolamento di conti”, dice con sicurezza, ma altri residenti non sono d’accordo con lui.

“Solo venerdì scorso un altro camper è stato incendiato in via Romolo Balzani, poche strade più in là, ma in quel caso per fortuna non ci sono state vittime”, dice Mario, un altro signore anziano che abita nei palazzi sul retro del centro commerciale.

I rom sono da sempre il capro espiatorio perfetto

I genitori della scuola elementare Iqbal Masih, che si trova a pochi passi dal luogo dove è avvenuto l’omicidio, sono sotto shock. “Sono morte tre persone, due bambine e una ragazza. Sono state uccise da un incendio provocato da una molotov. Erano bambine, come i nostri figli, e ci sentiamo tutti in parte responsabili perché la loro morte è avvenuta a due passi dalla scuola dei nostri bambini”, dice Marco, che è venuto con sua figlia al presidio organizzato da residenti e attivisti.

La scuola elementare Iqbal Masih è da decenni attiva nell’inclusione dei bambini di origine straniera ed è diventato un modello per le scuole della zona. “Non sappiamo ancora se si è trattato di un attacco razzista, dobbiamo aspettare per capire, l’unica cosa certa è che qui sono morte delle bambine, non delle bambine rom, delle bambine che vivevano nel quartiere. E questa è una tragedia”, dice Marco. “Come è scritto nello striscione, noi li consideriamo morti nostri, morti del quartiere, non morti nel quartiere”.

Appena si sparge la voce che la principale pista investigativa su cui gli inquirenti stanno indagando è quella di un regolamento di conti tra gruppi criminali, a pochi metri dal presidio antirazzista si comincia a dire quello che fino a poco prima si sussurrava.

Per il giornalaio “gli zingari si sono ammazzati tra di loro”, per il barista “hanno ammazzato pur sempre delle zingare, anche se bambine”. Mentre gli inquirenti devono ancora stabilire chi sia il responsabile e quale sia stato il movente, per le strade e su internet riprende quota il sentimento antizigano che era stato per un attimo sospeso di fronte al piccolo triciclo di plastica rosa, rimasto intero, simbolo della tragedia. “I rom sono da sempre il capro espiatorio perfetto e per questo bisognerebbe non alimentare strumentalizzazioni”, dice Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 luglio, una delle organizzazioni che dal 2010 si occupa della loro inclusione nella capitale.

Nessuna politica sociale
Secondo Stasolla, sulla morte delle tre sorelle a Centocelle non si dovrebbero fare speculazioni fino a quando non si capirà chi è il responsabile e soprattutto qual è il movente, proprio per non alimentare “isteriche strumentalizzazioni mediatiche”. Quello invece di cui si dovrebbe parlare, prosegue Stasolla, sono le condizioni sempre più disastrose dei campi rom a Roma e la mancanza di una politica per l’inclusione sociale di questi gruppi. L’Italia è uno dei pochi paesi europei che continua a ricorrere ai campi per risolvere l’emergenza abitativa di rom e sinti. Ma i campi comportano violazioni dei diritti umani e costi eccessivi, secondo la stessa Associazione 21 luglio.

“Quando nel 2011 in un rogo a Tor Fiscale, lungo la via Appia, morirono quattro bambini, la giunta Alemanno avviò una politica di sgomberi in nome della cosiddetta emergenza rom. Quello che temiamo è che ora, in seguito a questo episodio, riprendano gli sgomberi”, afferma Stasolla. A novembre del 2016 la giunta di Virginia Raggi aveva promesso che avrebbe stilato entro il 31 maggio di quest’anno “un cronoprogramma” per superare il sistema dei campi, “ma a dieci mesi dall’insediamento della giunta non sappiamo ancora quali siano i piani della sindaca”.

Secondo le stime, i rom a Roma sono settemila, vivono in sette campi ufficiali e in undici insediamenti autorganizzati. “Avviare gli sgomberi, se non c’è un programma alternativo, alimenterebbe un circolo vizioso”, afferma Stasolla.

Negli ultimi due anni, secondo il presidente dell’Associazione 21 luglio, a seguito di sgomberi di campi autorizzati e di palazzi occupati, “si è aggravato il fenomeno di famiglie rom, ma anche non rom, che vivono nei camper in condizioni di estrema vulnerabilità”. Si tratta di “un’emergenza sociale e abitativa molto importante soprattutto nel quadrante sudest della città”. Anche per Paolo Ciani di sant’Egidio il fenomeno è preoccupante. “A finire a vivere in camper o in auto sono sempre più spesso intere famiglie – con sei, sette, dieci bambini – e questo è davvero grave”, conclude.

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