03 agosto 2016 13:05

All’inizio dell’anno, insieme a due colleghi ho partecipato alla proiezione di alcuni dei nostri documentari brevi a Tunisi. Durante il dibattito, una persona del pubblico mi ha chiesto: “Qual è la situazione per le registe in Libia?”. Nel mio documentario avevo cercato di far luce proprio su questo argomento.

Per cercare di spiegarlo meglio, bisogna tener conto del fatto che in Libia la situazione è quasi sempre difficile e pericolosa e, naturalmente, senza alcun sostegno anche per i registi uomini. Moltiplicate questa situazione almeno per dieci nel caso di una regista, e forse comincerete a capire quando sia dura per loro.

La teoria del Grande uomo suggerisce che “la storia del mondo non è altro che la biografia di grandi uomini”. Io però credo in un’altra versione di questa teoria, più corretta e più adeguata a noi: la teoria della Grande donna.

Nella storia di tutto il mondo, dietro al successo di una donna c’è sempre una grande lotta e tantissimi sforzi, almeno dieci volte superiori a quelli sostenuti da un qualsiasi uomo che occupi la sua stessa posizione.

A Hagul non è bastato avere talento e dedicare la sua vita a questo obiettivo. No, a lei è servito molto altro

Le donne hanno dovuto lottare con le unghie e con i denti per ottenere i loro diritti. Nelle nostre società lottano ancora oggi per cose considerate da tempo ovvie e scontate in altri paesi. E ogni volta che una donna realizza un sogno, deve addentrarsi in territori sconosciuti e sfidare, affrontare e superare molti ostacoli. Ogni volta che si colloca all’avanguardia in un qualsiasi ambito fino ad allora dominato solo dagli uomini, ogni volta che diventa la prima a farlo, compie un importantissimo passo nella grande marcia delle donne nelle nostre società.

La nuotatrice libica diciassettenne Daniah Hagul ha vinto molte medaglie nelle competizioni internazionali – tra cui tre medaglie d’oro in Qatar – e si è qualificata per i Mondiali dell’anno scorso a Kazan, in Russia. Sarà la prima nuotatrice a rappresentare la Libia ai giochi olimpici di Rio da quando è scoppiata la rivoluzione e, in assoluto, una delle pochissime atlete libiche della storia a gareggiare alle Olimpiadi.

Secondo una dichiarazione alla stampa, il suo successo deve moltissimo alla decisione dei genitori di trasferirsi a Malta negli anni novanta. Suo padre e sua madre Samira sperano che l’esempio della figlia possa contribuire a cambiare la mentalità nel loro paese.

Qualsiasi atleta libico, se è dotato di talento, non deve fare altro che allenarsi duramente e coltivare il suo sogno; la sua famiglia, i suoi amici e tutta la società lo sosterranno e saranno fieri di lui. Se si qualifica per le Olimpiadi, può stare sicuro che tutti saranno al suo fianco.

A Hagul, però, non è bastato avere talento e dedicare la sua vita a questo obiettivo. No, a lei è servito molto altro. La stampa libica le ha dato pochissima attenzione, sebbene in molti abbiano condiviso la sua storia sui social network. L’opinione pubblica, infatti, è ancora divisa tra chi la sostiene e la incoraggia e chi invece ritiene che una donna libica non debba scoprire il suo corpo.

Quando il comitato olimpico libico non ha più potuto ignorarla, l’ha accolta informandola però di non poterle pagare le spese della trasferta a Rio.

Siccome il padre non poteva accompagnarla, non voleva che la figlia partisse da sola con l’allenatore

La mancanza di sostegno economico ha rappresentato per lei un ulteriore ostacolo. Hagul ha deciso di lanciare una campagna di crowdfunding – “Contribuite a finanziare il sogno olimpico di Daniah!” – ed è riuscita a raccogliere più di 6.800 euro in un mese.

Anche se avrà un enorme peso sulle spalle, Daniah Hagul continuerà a nuotare. Grazie alla sua forza e alla sua determinazione, la vedremo partecipare alle Olimpiadi del 2016 che si terranno ad agosto a Rio. E io non vedo l’ora di guardarla.

C’è poi qualche caso raro in cui, anche se il governo, la società e la stampa si allineano alla perfezione dietro un’atleta libica per sostenerla, intervengono nuovi fattori a ostacolarla e a opprimerla, costringendola a ritirarsi.

Retag Asaiah, una lanciatrice del disco libica di 17 anni, all’inizio del 2016 ha vinto due medaglie d’oro ai Mondiali arabo-mediterranei di atletica di Algeri, stabilendo anche un nuovo record arabo. A maggio, poi, ha conquistato anche un argento al campionato di atletica dell’Unione mediterranea a Tunisi.

L’Unione libica di atletica (Ula) l’ha premiata con quattromila dinari libici, non molto, ma comunque meglio di un “scusa, non possiamo pagarti il biglietto”. Le ha fornito nuovi allenatori e si è adoperata per mandarla in Egitto ad allenarsi in vista dei Mondiali under 20 di atletica del 2016. Una settimana prima, però, Retag Asaiah ha annunciato che si sarebbe ritirata dalla competizione.

Pressioni familiari

I problemi che l’hanno condotta a questa decisione sono cominciati quando suo padre ha avviato una battaglia contro l’Ula, accusandola di non aver voluto sostenere le sue spese di viaggio per accompagnarla. Chiedeva un maggiore supporto finanziario per lei, aggiungendo di aver appoggiato il sogno della figlia perché lei aveva dato tanto al suo paese, senza però riceverne nulla in cambio.

Il punto è che siccome il padre non aveva la possibilità di accompagnarla, non voleva che la figlia partisse per la Polonia insieme al suo allenatore. Il direttore dell’Ula ha dichiarato che tutto stava andando per il meglio, ma che l’insistenza del padre nel voler viaggiare con lei ha reso tutto più difficile e ha negato al paese la possibilità di vincere una medaglia d’oro.

Non è importante sapere se la decisione del ritiro è stata presa da Asaiah oppure da qualcun altro, e neanche se suo padre è iperprotettivo o semplicemente arrabbiato perché si erano rifiutati di pagargli le spese di viaggio e di richiedere il visto anche per lui. Ciò che conta davvero è che il prezzo di tutto questo lo ha dovuto pagare la giovane atleta.

La pressione supplementare che una donna deve subire da parte della sua famiglia è solo un’altra storia del paese degli uomini.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

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