02 marzo 2016 18:33

Per imperscrutabili motivi, Facebook censura definendolo “dannoso” e “non sicuro” un articolo contenente la sintesi dell’intervento di Tullio De Mauro (linguista di fama mondiale ed ex ministro della pubblica istruzione) al festival di Internazionale 2014. L’articolo parla di Italia dealfabetizzata, ed è pubblicato sul mio sito, nuovoeutile.

Contemporaneamente, e senza comunicarlo agli interessati, Facebook censura anche la voce coprolalico e la voce lingula del vocabolario Treccani. Il fatto è curioso, e rimanda ad altri fatterelli curiosi di quel curioso paese che è il nostro. Provo a raccontarveli.

I link all’articolo di nuovoeutile e alle due voci della Treccani sono contenuti nella energica e illuminante risposta che la sociolinguista Vera Gheno rivolge alle legioni di imbecilli (Umberto Eco dixit) che trollano l’ammirevole pagina Facebook dell’Accademia della Crusca a proposito di “petaloso”.

La risposta di Vera Gheno, condivisa centinaia di volte, è scherzosamente intitolata “Petaloso-gate – servizio debunking”. Anch’essa viene censurata da Facebook. La ripubblica però Michele Cortelazzo, linguista e accademico della Crusca, commentando: “Sono comunque lieto di garantire la pubblicità a questo testo […] perché resti traccia del vergognoso comportamento di Facebook: come segnala Stefania Iannizzotto, le schifezze postate nella pagina della accademia della Crusca, per quanto segnalate, non vengono rimosse; il post di Vera Gheno , per nulla offensivo, sì”.

A proposito di “petaloso”: c’è da chiedersi come può succedere che una graziosa, lievissima faccenduola linguistica, che sembra uscita dal libro Cuore (e che come tale merita un sorriso, e volendo un gesto di simpatia) si possa trasformare, passando attraverso una serie di implacabili automatismi mediatici, in un inestricabile groviglio di sproloqui velenosi e – ciliegina! – censure a capocchia.

Ripercorro per sommi capi l’intera storia segnando con asterischi (da uno a tre) le svolte pericolose.

  1. Un bambino scrive “petaloso” su un compito (vabbè, succede).
  2. La maestra “usa” l’errore per aprire una discussione in classe (ottimo) e coinvolge l’Accademia della Crusca (buona idea).
  3. L’Accademia risponde a tono (magnifico!).
  4. La risposta dell’Accademia è così irresistibile che non si può non pubblicarla sui social network (be’, perché no?*).
  5. I consensi su Facebook e Twitter superano ogni aspettativa: seri interlocutori istituzionali come la Treccani e Zanichelli partecipano al gioco consistente nell’usare “petaloso” (caspita!*).
  6. Nell’arco di una sola giornata, il 24 febbraio, il fatto tracima su altri media (urca!**). Intanto una raffica di hashtag e condivisioni rende “petaloso” virale (**), tanto da approdare sul cellulare e nell’intervento sul progetto Human technopole del presidente del consiglio (***), e nei tweet di svariate aziende furbacchione, pronte a sostenere che i loro prodotti sono “petalosi” (***).
  7. Anche i giornalisti si muovono e pubblicano foto del bimbo, della mamma, della maestra (e la privacy? E la tutela dei minori?***). Dopo un solo giorno, “petaloso” approda sui mezzi d’informazione stranieri: El País, Le Monde, Bbc. E sui telegiornali nostrani.
  8. A questo punto che resta da fare, per aggiungere qualcosa di originale e, magari, sfruttare un po’ della visibilità garantita dal successo della storia (***)? Semplice: basta cominciare a prendersela con “petaloso”. E, di rimbalzo, con la Crusca. È la sera del 25 febbraio: in una manciata di ore la tendenza dei commenti passa da “positivo” a “negativo”. Cresce l’ondata degli insulti, delle tesi bislacche, delle insinuazioni acide. Molti ignorano un fatto ampiamente spiegato nel messaggio della Crusca, che commentano senza neanche averlo letto: sono i parlanti italiani (e non qualche autorità) a decidere, usandola o meno, se una parola entra nei vocabolari.
  9. A questo punto Vera Gheno, che fa parte del gruppo di magnifici ed entusiasti studiosi che curano il sito della Crusca, mette in fila un po’ delle sciocchezze che ha letto e risponde. Facebook censura la risposta (***) e, già che c’è, censura anche pagine della Treccani e di nuovoeutile, che all’interno della risposta sono linkate. (***). Amen.

Così, quella che era cominciata come una piccola storia graziosa, apprezzata forse perché capace di restituire un po’ di leggerezza al plumbeo clima nazionale, si trasforma nel groviglio velenoso di cui dicevo prima. E quello che poteva essere un segno confortante di rinnovata attenzione per le parole si traduce in un’occasione per straparlare.

Ulteriore danno collaterale personale: mi tocca perfino smentire ufficialmente di aver coniato, anni fa, un melenso aggettivo pubblicitario assonante con “petaloso”, e indicante estrema morbidezza. La notizia è stata a sua volta pubblicata ma, giuro, sono innocente.

Intanto nella tarda sera del 29 febbraio, dopo tre giorni di censura e di nuovo senza comunicarlo, Facebook finalmente sdogana l’articolo del professor De Mauro, e un tardivo barlume di senso illumina una vicenda che sembrava averne perso ogni traccia.

Forse, per capirci qualcosa, proprio il censurato articolo di De Mauro offre una chiave: l’italiano sta bene, ma l’Italia è dealfabetizzata. Non è sorprendente che reagisca in modo dealfabetizzato anche in rete. Ma se questo non è sorprendente, non è neanche ineluttabile: basterebbero un po’ più di attenzione, di cortesia e, magari, di verifica delle fonti per cominciare a cambiare le cose.

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