03 marzo 2015 08:50

Nella giornata di lunedì Benjamin Netanyahu si è rivolto all’American Israel public affairs committee spinto da due grandi paure. La prima è quella di vedere l’Iran accedere all’arma atomica, perché il primo ministro israeliano non crede affatto che il compromesso diplomatico possa impedire a Teheran di raggiungere il suo scopo.
Secondo Netanyahu, l’Iran vuole solo guadagnare tempo e ottenere la cancellazione delle sanzioni internazionali che hanno duramente colpito la sua economia, dopodiché riproporrà le sue ambizioni nucleari senza troppe difficoltà (anche perché possiede già la tecnologia necessaria) rilanciando la produzione di uranio arricchito a prescindere da qualsiasi compromesso.

Il primo ministro israeliano pensa (a ragione) che l’Iran sia un paese che non dispone della bomba ma potrebbe costruirla nel giro di pochi mesi. Secondo Netanyahu solo un aumento della pressione economica e il ricorso al bombardamento delle strutture nucleari potrebbe eliminare un pericolo che considera esistenziale per il suo paese, perché un Iran dotato di testate nucleari cancellerebbe la superiorità militare che ha protetto Israele fin dagli anni sessanta.

Giustificata o meno, questa paura ha spinto Netanyahu a trattare direttamente con la maggioranza repubblicana al congresso senza passare dalla Casa Bianca, cercando l’appoggio dei deputati americani avversari di Barack Obama, la cui analisi della situazione è diametralmente opposta alla sua.

Il presidente americano è infatti convinto che un compromesso sul nucleare e la cancellazione delle sanzioni permetterebbero all’Iran di tornare sul mercato mondiale e di aprirsi alle influenze esterne, favorendo l’apertura, l’evoluzione e persino il crollo dell’attuale regime sotto il peso delle aspirazioni democratiche della popolazione.

Si tratta di un dibattito complesso e cruciale, che nasconde un’altra divergenza tra Obama e Netanyahu. Il presidente americano pensa infatti che un’intesa sul nucleare consentirebbe a Stati Uniti e Iran di lavorare insieme alla stabilizzazione del Medio Oriente, ma questo stesso scenario sarebbe il peggior incubo del primo ministro israeliano.

Per Obama l’esercito iraniano potrebbe intervenire apertamente contro i jihadisti dello Stato islamico sollevando da questo compito gli Stati Uniti, mentre per Netanyahu l’Iran sciita otterrebbe talmente tante concessioni da Washington che i suoi alleati sciiti ne uscirebbero rafforzati in tutto il Medio Oriente e lo sciismo, per quanto minoritario nella regione, avrebbe la stessa influenza del sunnismo. Se con i sunniti Israele ha trovato un modus vivendi (e perfino la pace nel caso di Egitto e Giordania) il mondo sciita guidato dall’Iran rifiuta ancora l’esistenza dello stato ebraico. In questo senso la seconda e più grande paura di Netanyahu, ben oltre il problema del nucleare, è l’ascesa di un Iran rafforzato dal riavvicinamento con gli Stati Uniti e pronto a guidare l’intero Medio Oriente contro Israele.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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