23 giugno 2015 11:12

Ho fatto la maturità nel 1993. Pochi anni prima era uscito quello che a oggi può essere considerato il più celebre film sulla scuola, L’attimo fuggente, che aveva generato molti entusiasmi e dato vita a mille dibattiti. Io lo vidi addirittura in una matinée per le scuole.

In una delle prime scene il protagonista, forse ve lo ricorderete, il professor Keating (Robin Williams), alla sua lezione d’esordio, legge con tono impostato dal libro di letteratura:

Comprendere la Poesia, di Jonathan Evans Prichard, professore emerito: ‘Per comprendere appieno la poesia dobbiamo anzitutto conoscerne la metrica, la rima e le figure retoriche e poi porci due domande, uno, con quanta efficacia sia stato reso il fine poetico e due, quanto sia importante tale fine. La prima domanda valuta la forma di una poesia, la seconda ne valuta l’importanza. Una volta risposto a queste domande, determinare la grandezza di una poesia diventa una questione relativamente semplice; se segniamo la perfezione di una poesia sull’asse orizzontale di un grafico e la sua importanza su quello verticale, sarà sufficiente calcolare l’area totale della poesia, per misurarne la grandezza. […] Procedendo nella lettura di questo libro esercitatevi in tale metodo di valutazione. Crescendo così la vostra capacità di valutare la poesia, aumenterà il vostro godimento e la comprensione della poesia.

Il professor Keating poi commenta: “Escrementi! Ecco cosa penso delle teorie di J. Evans Prichard. Non stiamo parlando di tubi, stiamo parlando di poesia, ma si può giudicare la poesia facendo la hit parade? Gagliardo Byron, è solo al quinto posto, ma è poco ballabile”.

Nel 1997 uscì invece il film di Paolo Virzì, Ovosodo, che è la storia dell’ultimo anno di liceo di un gruppo di ragazzi di Livorno. La scena finale è l’orale dell’esame di maturità del protagonista, Piero (interpretato da Edoardo Gabriellini).

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Gli viene chiesto: “A proposito dell’opera di D’Annunzio, Giacomo Debenedetti parla di una sorta di meccanicismo deduttivo, ci vuole per cortesia commentare questo giudizio, alla luce dell’analisi da voi svolta durante l’anno su decadentismo e superomismo?”.

E Piero incespica, si arrampica sugli specchi: “Alla luce dell’analisi svolta in classe sul decadentismo e il superomismo, si può dire che quando Giacomo Debenedetti parla… di quella cosa che ha detto lei… io sono abbastanza d’accordo…”.

“Prendiamo atto che non ama neanche D’Annunzio…”.

“Con rispetto parlando mi sembra proprio il peggio di tutti”.

“Ricapitoliamo: Carducci sarebbe trombone, Pascoli stucchevole, Manzoni paternalista. Ci parli lei di un autore che merita il suo apprezzamento”.
“Quest’anno ho letto tante bellissime cose, Ian McEwan, Benni, Pennac, i fumetti di Andrea Pazienza, che secondo me hanno una loro dignità letteraria. Poi quel fantastico libro di Chatwin sulle vie dei canti, e la biografia di Nelson Mandela, quell’uomo ha avuto una vita incredibile, ma… conoscete vero? Eh? Lo conoscete? No, non lo conoscete?”.

Compiti per le vacanze

Parto da queste due scene, ma potrei citarne anche altre (l’esame di Notte prima degli esami, per esempio, le ripetizioni di Scialla), per provare a capire quali effetti ha portato liquidare la teoria della letteratura, l’analisi testuale, la critica culturale in generale per lo studio delle materie umanistiche nella scuola italiana.

Quei ventenni che come me negli anni novanta facevano l’esame di maturità oggi magari sono diventati insegnanti.

Uno di questi è certamente Cesare Catà, docente al liceo di scienze umane di Fermo, che ha pubblicato sulla sua pagina Facebook un elenco stravagante di “compiti per le vacanze”, che è stato ripreso da molti giornali, ed è diventato, come si dice in questi casi, virale.

È un piccolo documento che andrebbe letto per intero, ma intanto si possono citare almeno quattro-cinque punti, dai quali rendersi conto del tono.

  • Al mattino, qualche volta, andate a camminare sulla riva del mare in totale solitudine: guardate come vi si riflette il sole e, pensando alle cose che più amate nella vita, sentitevi felici.
  • Evitate tutte le cose, le situazioni e le persone che vi rendono negativi o vuoti: cercate situazioni stimolanti e la compagnia di amici che vi arricchiscono, vi comprendono e vi apprezzano per quello che siete.
  • Se vi sentite tristi o spaventati, non vi preoccupate: l’estate, come tutte le cose meravigliose, mette in subbuglio l’anima. Provate a scrivere un diario per raccontare il vostro stato (a settembre, se vi va, ne leggeremo insieme).
  • Ballate. Senza vergogna. In pista sotto cassa, o in camera vostra. L’estate è una danza, ed è sciocco non farne parte.
  • Almeno una volta, andate a vedere l’alba. Restate in silenzio e respirate. Chiudete gli occhi, grati.
  • Nella luce sfavillante o nelle notti calde, sognate come dovrà e potrà essere la vostra vita: nell’estate cercate la forza per non arrendervi mai, e fate di tutto per perseguire quel sogno.

Cesare Catà ha come modello il professor Keating – lo dichiara lui stesso sul suo profilo Facebook e nelle interviste – e probabilmente si sarebbe sentito fiero di incarnare quel modello di docente, anche quando per esempio, nel seguito della scena che abbiamo citato prima, invita a strappare la pagina del libro. Gli studenti obbediscono, e – zoom sul libro – stracciano il saggio intitolato Understanding poetry (Comprendere la poesia).

È una delle scene più violente e antieducative che io abbia mai visto, e che per anni invece è passata come un inno alla libertà.

Jonathan Evans Pritchard è un nome fittizio, ma Understanding poetry è invece un testo esistente, un saggio che ha evidentemente ispirato gli sceneggiatori dell’Attimo fuggente. Fu scritto da Cleanth Brooks e Robert Penn Warren ed è stato un testo seminale del new criticism, uno dei movimenti più importanti di critica letteraria del novecento.

Quando feci la maturità avevo visto più volte L’attimo fuggente (era diventato un film culto già allora per professori e studenti), ma non avevo mai sentito parlare di new criticism. Liquidarlo con una battuta di un film non mi servì a nulla.

Per fortuna però la scuola italiana aveva allora e ancora ha al centro della sua didattica l’analisi testuale; e lo studio delle discipline umanistiche – la storia, la filosofia, la storia dell’arte – si basa su diverse forme di ermeneutica. Interpretazione dell’immagine, interpretazione dei dati, interpretazione dei termini specifici, metodo scientifico.

Ogni volta che oggi assisto a un esame di maturità, mi rendo conto di quanto sia importante quest’impianto metodologico, che educa al pensiero critico a partire dalla capacità di interpretare testi e altri oggetti culturali, di leggere testi complessi. E che è il fondamento della scuola italiana, nonostante i professori Keating e i loro emuli.

Dall’altra parte però la moda della semplificazione a tutti i costi, del soggettivismo, è diventata la patologia non riconosciuta della scuola, che finisce per contagiare molti aspetti della didattica e s’insinua sempre più spesso nello svolgimento degli esami di maturità.

Leggete le tracce della prova d’italiano alla maturità, anche quelle svolte qualche giorno fa. Le fonti che sono fornite e il modo d’interrogare sulle questioni della contemporaneità richiedono spesso un opinionismo da bar, o poco più.

Quest’anno per esempio la traccia di ambito tecnologico-scientifico era questa:

“Lo sviluppo scientifico e tecnologico dell’elettronica e dell’informatica ha trasformato il mondo della comunicazione, che oggi è dominato dalla connettività. Questi rapidi e profondi mutamenti offrono vaste opportunità ma suscitano anche riflessioni critiche”, e le citazioni da cui partire erano cinque righe piuttosto inconsistenti di un saggio di Maurizio Ferraris, L’ontologia del telefonino, e un articolo molto generico se non superficiale di Daniele Marini uscito sulla Stampa nel febbraio scorso.

Perché s’immagina che i ragazzi non possano o non debbano confrontarsi con testi più complessi ed eloquenti? Chi ha formulato queste tracce? Perché sembra essere così dominante l’ideologia dell’impressionismo anche nella scuola?

Per fortuna, al liceo e all’università, non ho incontrato molti professori che hanno finto che le cose fossero facili, o mi hanno detto “Andate a camminare in riva al mare” o “ballate fino all’alba” (potevo pensarci da me). C’è stato invece chi mi ha insegnato a fare la parafrasi di testi che mi sembravano di primo acchito impenetrabili, o mi ha fatto elenchi di bibliografia di saggi complicati ma bellissimi, o chi per l’esame di maturità mi prestò Mimesis di Erich Auerbach per poter capire meglio la Divina Commedia. Credo di non averglielo mai ridato; a questo professore sono ancora grato.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it