11 febbraio 2013 09:00

Sono ancora nel nord di Israele, quasi in incognito. Con me ci sono cittadini israeliani, che nella migliore delle ipotesi vivono negando la realtà e nella peggiore sostengono le politiche israeliane sulla questione palestinese. A cena sono seduta vicino a un giovane con il codino. “Che lavoro fai?”, mi chiede. “Sono una giornalista”, rispondo a bassa voce. Il ragazzo è curioso: “E dove?”. Rispondo. Sul suo viso appare un’espressione rispettosa. Chiaramente non legge Ha’aretz, ma almeno sa che esiste. “Scrivo dell’occupazione”, proseguo. Mi sorride: “Ah, quindi non sei molto amata qui”. Scoppiamo a ridere, poi dice: “Ma non preoccuparti, un giorno l’occupazione finirà. Non si può andare avanti così per sempre”.

Mi chiede quanti anni ho. Dato che l’età non è una colpa, gli rispondo: 56. La sua reazione mi sorprende: “Allora conoscerai Matzpen”. Era un gruppo marxista nato a metà degli anni sessanta che denunciava la colonizzazione. Evidentemente il ragazzo è più politicamente consapevole di quanto pensassi. Scopro che è nato in un insediamento sulle alture del Golan, ma non vive più lì. Intanto continua il suo interrogatorio: “Vivi a Tel Aviv?”. “No, a Ramallah”. Spalanca gli occhi, sbigottito. È commosso: “Che posto splendido”. Immagino che l’abbia visitata da soldato. Lo conferma, e mi racconta di quando ha aperto gli occhi lasciando l’esercito. “Questa occupazione finirà”, conclude. “Con un grande botto, ma finirà”.

Traduzione di Andrea Sparacino

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