11 settembre 2013 07:00

Al confronto la questione israelo-palestinese è un gioco da ragazzi. In quel caso conosciamo la soluzione ideale al conflitto (anche se nessuno riesce a imporla), mentre in Siria brancoliamo ancora nel buio.

Lunedì si è aperto uno spiraglio, che però potrebbe improvvisamente richiudersi. Gli occidentali, infatti, non intendono accontentarsi della promessa di Damasco di distruggere il suo arsenale chimico, e pretendono una ratifica attraverso una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu con scadenze e sanzioni (anche militari) da imporre in caso di inadempienze. L’occidente, insomma, vuole un impegno chiaro che i russi non sembrano voler esigere dalla Siria.

Anche se tutto andasse per il verso giusto, comunque, la situazione resterebbe complessa. Certo, il Consiglio di sicurezza potrebbe arrivare a un compromesso entro qualche giorno, e la Siria potrebbe dare il via allo smantellamento del suo arsenale. Ma cosa accadrebbe dopo?

Una volta avviate le trattative tra le grandi potenze sorgerebbero immediatamente i primi problemi. L’insurrezione chiede che Bashar al Assad esca di scena o quantomeno ceda il potere a una personalità indipendente incaricata di gestire la transizione, mentre Assad vuole comunque restare in carica fino a quando si terranno le elezioni (anticipate o meno). Questa divergenza di fondo rischia di compromettere tutto, anche perché è difficile immaginare uno scenario in cui l’attuale regime organizza una transizione volta inevitabilmente a emarginarlo. Inoltre, anche ipotizzando un compromesso tra le parti, resterebbe da capire se la Siria sarebbe in grado di sopravvivere come stato unitario all’interno dei suoi confini attuali.

Al momento il regime controlla il 40 per cento del territorio nazionale. Un altro 40 per cento è nelle mani dei ribelli, mentre il restante 20 per cento è conteso dai due schieramenti. Né il governo né gli insorti intendono arretrare di un centimetro, e i risentimenti nati dalla guerra civile e da 43 anni di dittatura della famiglia Assad e di dominazione alauita sulla maggioranza sunnita rendono illusoria ogni ipotesi di convivenza all’interno dello stesso stato. La maggioranza sunnita vuole preservare l’integrità della Siria e governare in virtù dei suoi numeri, ma la minoranza alauita non accetta di farsi comandare dai sunniti. I poveri cristiani non sanno più a che santo votarsi, mentre i Curdi sono soddisfatti della sostanziale autonomia che hanno guadagnato negli anni, un po’ come accaduto in Iraq.

La logica vorrebbe che ciascuno trovi il suo spazio per vivere autonomamente all’interno di una sorta di federazione, ma il problema è che i diversi popoli del paese sono profondamente mescolati. Inoltre se le frontiere della Siria fossero riviste bisognerebbe riesaminare anche quelle dell’Iraq (un altro mosaico nato dal colonialismo), mentre i curdi di Turchia ricomincerebbero a sognare l’autonomia. La questione siriana è in realtà una questione regionale, ed è per questo che la sua soluzione appare quantomai lontana.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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