14 febbraio 2013 09:00

Anche la crescita economica è, come la scuola, una scatola nera. Il recente Learning curve di Economist e Pearson ha mostrato che non ci sono correlazioni rigide tra singoli input nella scuola e risultati di apprendimento.

McGregor Campbell, giornalista consulente di New Scientist, formula un analogo dubbio (7 gennaio 2013): è sbagliato assumere come predittori di sviluppo economico i risultati dei test di matematica e scienze tratti dalle indagini Tims (Trends in international mathematics and science study) e Pisa (Programme for International Student Assessment)?

Campbell si appoggia a un anteriore lavoro analitico di Christopher Tienken. Da questo emerge che, sì, per i paesi a basso reddito e sviluppo ci sono correlazioni positive tra competenze matematiche accertate dai test e competitività economica, ma non è così per i paesi ad alto sviluppo e reddito. Dagli anni ottanta e novanta gli studenti giapponesi sono risultati bravissimi in matematica, ma l’economia del paese è andata declinando, quelli tedeschi andavano maluccio (ora però non è più così), ma l’economia della Germania è cresciuta.

Per Robert Barro e Jong Wha-Lee è il numero di anni di scuola a testa e, per i paesi ad alto sviluppo, il numero di anni di università ciò che favorisce in media lo sviluppo economico. Una globalità ricca di cose che i test non misurano (storia, letteratura, tecniche, diritto, filosofia) agisce positivamente sulla vita dei paesi. Magari anche sulla loro economia.

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